Nonostante non abbia ancora una carriera straordinaria alle spalle, Rupert Sanders è uno di quei nomi che potreste facilmente aver sentito citare, soprattutto se siete abituali consumatori dei magazine che si occupano di gossip. Alto e snello, con una sfumatura vagamente perfida negli occhi verdi, Sanders dissimula a meraviglia i suoi 45 anni. Come molti dei suoi colleghi coetanei, si è fatto un nome grazie alla pubblicità, per poi debuttare nella regia di un blockbuster con Biancaneve e il cacciatore. E proprio su quel set ha un flirt con Kristen Stewart, che costa a lui il matrimonio e a lei la relazione con Pattinson, oltre che un ulteriore coinvolgimento nella saga. Oggi, mentre Kristen si fa fotografare con Stella Maxwell e si costruisce una carriera nel cinema d’autore, lui ci riprova dietro la macchina da presa in un’altra mega-produzione fantasy, anche se stavolta virata allo sci-fi. Quando lo incontriamo in una saletta al piano ammezzato dell’esclusivo club Tabloid di Minato, Tokyo, ha la faccia accartocciata dal jet lag e un lungo cappotto nero infilato sopra la giacca. La maggior parte della chiacchierata riguarda naturalmente similitudini e differenze tra questo nuovo Ghost in the Shell, il manga di Masamune Shirow, e il film d’animazione di Mamoru Oshii.
Vorrei chiederti subito del tono del film: sarà violento quanto l’anime originale?
«Sì, a essere onesto abbiamo cercato di spingere su questo aspetto per quanto possibile. Al momento non sappiamo ancora quale sarà il rating, quindi non ci resta che attendere. Il vantaggio è che il sangue degli androidi è di colore bianco e questa è un’attenuante dal punto di vista della censura. Ma ovviamente siamo di fronte a un film violento anche perché ho voluto mantenere intatta la sensualità e la natura provocante della storia originale».
Dal primo trailer e dalla clip che abbiamo visto stasera, ci sono elementi che rimandano al film originale ma non sembra che la tua intenzione sia stata quella di fare un remake del tutto fedele.
«Quando Steven Spielberg mi ha coinvolto nel progetto, ho accettato subito. A quel punto ho voluto realizzare una sorta di mia graphic novel prendendo immagini dal fumetto originale, da Innocence (il primo sequel animato, ndr) e dalla più recente serie Stand Alone Complex. Ho messo insieme questi elementi e mi sono reso conto di quale mood avrebbe dovuto avere il film. La versione che volevo realizzare era qualcosa di differente dal primo lavoro di Mamoru Oshii, anche perché era una storia molto complessa da raccontare cinematograficamente, ci sono molti concetti introspettivi, e per certi aspetti è anche un thriller psicologico… Io e Scarlett, quando abbiamo parlato del progetto, siamo stati categorici fin dall’inizio: questo doveva essere un film con una propria identità, in grado di camminare con le proprie gambe al di là dei fumetti o delle produzioni precedenti».
Anche perché dal concept originale ormai sono passati più di 25 anni, il mondo è diverso.
«Certamente: di quel concept abbiamo ripreso tutte le idee che potevano caratterizzare bene la storia e il personaggio protagonista. Idee che ci avrebbero aiutato a realizzare la migliore versione del film possibile. Però è ovvio che si parla di tecnologia e in questo lasso di tempo tante cose sono cambiate radicalmente. Eppure, nonostante questo molte delle tematiche sono ancora d’attualità, continuiamo a porci le stesse domande. Ovvero dove ci poterà la tecnologia e che ruolo avrà in futuro».
E dove ci porterà?
«Beh, ci sono molti argomenti a cui fa riferimento Stephen Hawking nei suoi lavori recenti sull’evoluzione dell’IA e sui risultati che si possono raggiungere in questo senso. Secondo me dobbiamo fare in modo che la tecnologia abbia sempre “bisogno” di noi. Se ci troviamo davanti a uno scenario in cui la tecnologia non ha più bisogno dell’uomo e può sbarazzarsene, andiamo nella direzione sbagliata. Dobbiamo sempre preservare e valorizzare gli elementi che ci rendono umani, come la spiritualità, la nostra anima, l’essenza dell’essere umano. E questo è proprio uno dei temi principali di Ghost in the Shell, l’unione tra l’anima e la macchina, come tra questi due elementi si instauri un rapporto simbiotico e come convivano».
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