In molti casi la distinzione tra remake e reboot è fumosa e si risolve più che altro per una questione di mode linguistiche, ma con il nuovo Ghostbusters si può parlare di reboot senza patemi. Il film prende infatti il vecchio soggetto – New York è invasa dai fantasmi e quattro scienziati male in arnese mettono in piedi un’agenzia per disinfestarla e guadagnarci su – e lo sviluppa sommando tante piccole variazioni sul tema. Non altera la sostanza, ma la camuffa il più possibile.
Al di là dell’ovvio, cioè il tanto criticato cambio di genere dei protagonisti, ci sono parecchie scelte che indicano il tentativo di reinventare l’originale senza allontanarsene. Ecco allora che la nuova sede dei Ghostbusters è un ristorante cinese, antistante però una caserma dei pompieri (troppo caro l’affitto); ecco che ai vecchi zaini protonici si aggiungono più maneggevoli pistole e trappole a tenaglia; ed ecco che le istituzioni cittadine stavolta sono consapevoli dell’invasione, ma preferiscono tacerla e screditare il gruppo per evitare che si diffonda il panico.
Si tratta in definitiva di conferire un po’ di carattere alla storia per mettere a tacere le lamentele di lesa maestà dei fan. In questo senso il film è tutto sommato riuscito: smaltisce i propri debiti sotto forma di citazioni (vedi anche l’uso che si fa nel finale dell’omino-marshmellow, o i cameo di tutti i membri del cast originale, ma in nuovi ruoli) e poi prosegue per la sua strada.
L’altro punto a favore del nuovo Ghostbusters è, paradossalmente, proprio il cast. Nessuno dubitava della bravura di Kristen Wiig, ma è piacevole scoprire che Melissa McCarthy non va sopra le righe come di solito fa, e sembra anzi molto maturata come interprete. Funziona anche Kate McKinnon, che è l’inventrice del gruppo, ma ha modi da eroina badass e un po’ svitata lontani dall’aplomb di Egon Spengler.
L’unica caratterizzazione che sfiora la farsa è quella di Chris Hemsworth nei panni del “segretario svampito”, un ruolo che era complicatissimo tenere a bada e a cui l’attore rende un servizio fantastico – tutte le gag migliori sono sue.
Detto questo, il film si perde per strada: una volta esaurite le variazioni sul tema, il terzo atto è prevedibilmente monotono, e dello scontro finale con gli ectoplasmi a quel punto non importa granché. Il vero problema è la totale assenza del senso di minaccia che nell’originale favoriva il coinvolgimento, un tifo quasi da stadio che dava senso alla celebrazione degli Acchiappafantasmi nelle strade piene di schiuma di New York, in una delle closing title sequence migliori di tutta la storia del cinema pop.
Ghostbusters versione 2016 è in definitiva una commedia fantascientifica brillante, con una manciata di ottime gag, a cui il passato rende un pessimo servizio: senza il bagaglio di ricordi che evoca, e senza il carisma dei vecchi interpreti (cresciuto a dismisura nel tempo), sarebbe stata molto più facile da accettare, e magari dimenticare.
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