Ghostbusters: Afterlife, evento di apertura della sezione Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma, uscirà nei cinema italiani il 18 novembre (il titolo italiano, modificato per l’occasione, è Ghostbusters: Legacy) col compito di portare avanti la saga composta da Ghostbusters – Acchiappafantasmi (1984) e Ghostbusters II (1989). Trent’anni dopo gli eventi narrati in quest’ultimo lungometraggio, Callie Spengler (Carrie Coon) si trasferisce con i due figli Trevor (Finn Wolfhard) e Phoebe (Mckenna Grace), nipoti di Egon (Harold Ramis), in campagna, presso la cittadina di Summerville, dove nonno Egon ha lasciato loro la proprietà di una fattoria semidiroccata.
Qui i due ragazzi scoprono man mano il legame che li unisce al nonno e quindi a tutta la squadra di Acchiappafantasmi di cui il dr. Spengler faceva parte, formata ovviamente anche dai dottori Venkman (Bill Murray), Stantz (Dan Aykroyd) e Zeddermore (Ernie Hudson). Contestualmente, sembra che ci sia una certa agitazione sotto terra, proprio al di sotto di Summerville, che ogni giorno sperimenta scosse di assestamento e tremolii nonostante non sia costruita sopra una faglia sismica. Aiutati anche da un loro insegnante di scuola, il professor Grooberson (Paul Rudd), Trevor e Phoebe iniziano a indagare su questo mistero che, forse, non è del tutto scollegato dalla professione del loro celebre nonno.
A sedere dietro la macchina da presa è Jason Reitman, figlio del regista dei film originali Ivan Reitman, qui co-producer del film. Jason, che aveva presentato in presenza a Roma Juno nel 2007, ai tempi del suo ultimo passaggio in Italia, ha presentato Ghostbusters: Legacy alla stampa italiana in collegamento da remoto, in compagnia del co-sceneggiatore Gil Kenan. Entrambi si sono soffermati sulla genesi del progetto e sull’essersi ritrovati a gestire il ritorno di un franchise dall’altissimo potenziale nostalgico e dal fandom altrettanto granitico.
«Ero sul set del primo Ghostbusters da piccolo e ricordo di aver visto gli attori protagonista volare, i marshmallow saltare in cielo, l’Ecto-1 che sgommava, l’appartamento di Dana – racconta il regista di Tra le nuvole e Young Adult – Le persone negli anni mi hanno chiesto più volte se avrei mai fatto un film di Ghostbusters e la mia arroganza mi faceva pensare che volessero vedere una mia versione della saga, mentre i fan volevano riappropriarsi dello zaino protonico e degli altri gadget, non un mio film».
«Dovevamo rendere giustizia a un mondo di fan che avrebbero giudicato il film che avremmo realizzato, ma grazie alla scintilla portata da Reitman nel progetto siamo stati in grado di iniziare a costruire questo mondo con entusiasmo – racconta invece Kenan – La conversazione tra noi ci ha consentito, in maniera quasi infantile, di costruire tutto attraverso il gioco e l’immaginazione, portando Ghostbusters: Afterlife a un nuovo pubblico ma anche al pubblico che lo attende da tantissimi anni come continuazione della saga originale. Uno degli elementi utili per drammatizzare la mitologia originale era liberare l’ambientazione in cui la storia si svolge, quindi New York doveva fare un passo indietro rispetto ad altri scenari per tornare al punto da cui eravamo partiti».
Reitman ha parlato anche della reazione di suo padre alla notizia che sarebbe stato proprio suo figlio a dirigere un nuovo Ghostbusters. «Ero nervoso nel presentare l’idea a mio padre, perché con lui ho sempre parlato di film. Gli ho spiegato la storia e lui l’ha recepita molto bene, lo spunto di un ragazzino che ritrova lo zaino protonico in un fienile a lo riattiva l’ha fatto piangere. Io e mio padre abbiamo visto il film insieme al Comic Con di New York con altri 3000 fan di Ghostbusters, lui era seduto accanto a me e lo vedevo che brillava. Ho fatto questo film per lui, per mia figlia, per la famiglia di Harold Ramis (interprete di Egon Spengler scomparso nel 2014, ndr) e in un certo senso per tutta la famiglia».
Inevitabilmente, Ghostbusters: Legacy è un film di fantasmi anche in una maniera deliberatamente malinconica e perfino simbolica: «Parla di nostalgia, i fantasmi sono anche metaforici. In un certo senso è simile anche ad altri film che ho fatto, c’è una mamma single con due figli. Ci sono suoni enormi e inseguimenti con le automobili ma ci tenevamo anche a fare un film che parlasse del nostro rapporto con i fantasmi e gli Acchiappafantasmi: tutti noi avremmo voluto guidare la loro macchina, e portare lo zaino protonico sulle spalle».
Riguardo all’arrivo del film nelle sale cinematografiche, in un momento segnato dalla ripartenza dell’esperienza theatrical su larga scala, conclude così Reitman: «Negli ultimi due anni non poter entrare in un cinema mi ha spinto a desiderarlo tantissimo e abbiamo fatto, riteniamo, il film che le persone vorrebbero vedere ritornando al cinema. Abbiamo utilizzato pupazzi in animatronic come si faceva all’epoca, con un certo gusto analogico, magari non macchine virtuali ma contemporaneamente anche molti effetti all’avanguardia. Allo stesso tempo abbiamo voluto in parte utilizzare delle tecniche mai viste prime, come fu per il blockbuster originale, che quando uscì era assolutamente avanti sul piano tecnologico e brevettò molte cose che il cinema non aveva mai utilizzato».
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