Ti riempiono di retorica, ti gonfiano di entusiasmo infantile, un paio di episodi come quelli che inaugurano Gomorra – La serie, la fiction italiana prodotta da Cattleya, Fandango e Sky Atlantic, che verrà trasmessa da quest’ultima a partire dal 6 maggio e che è stata presentata ieri alla stampa. Verrebbe voglia di scrivere che Sky sta salvando le nostre residue speranze di buona fiction a suon di serialità adulta, dove non c’è un tratto – la scrittura, la regia, le interpretazioni – che ti faccia rimpiangere i prodotti anglofoni, da una parte o dall’altra dell’oceano (anche se l’attenzione per il territorio come elemento narrativo e di genere richiama più il polar francese). È quasi uno shock culturale, e genera uno slittamento critico: se un prodotto simile è possibile, cosa dobbiamo pensare dei meccanismi che regolano la catena produttiva nel restante 99% dell’offerta televisiva e cinematografica italiana?
Scampia, la faida tra la famiglia Savastani e la famiglia Conte scatena una serie di rappresaglie che fanno a pezzi il quartiere. Il pilota si apre su un agguato domestico, ma parte da lontano, con i due sicari che mentre riempiono una tanica di benzina parlano di malavita, social network e relativi rischi per l’anonimato. È un incipit alla Tarantino, un dialogo dal passo lungo che approda all’azione dando il tempo a luoghi e volti di farsi contesto.
Poi si alternano le vicende domestiche dei Savastani e dei loro uomini, all’azione nuda a cruda: in entrambi i casi la resa è straordinaria; dove si ferma la scrittura ricama la regia (incredibile la scena dell’attentato nel bar, o la corsa notturna in moto di Gennaro), dove la macchina da presa è al guinzaglio si fa spazio il piacere dell’aneddoto, la curiosità istruttiva, che definisce le regole di un mondo e l’etica dei personaggi (e qui sarebbe da citare almeno la pantomima del divano scomodo e il duetto disgustoso tra il boss e Ciro in discoteca).
Rispetto a Romanzo Criminale, con cui condivide lo showrunner Stefano Sollima, qui viene scavalcata la necessità dell’ammiccamento pop in favore di un “realismo di genere” che allontana l’immedesimazione con i personaggi e qualsiasi manicheismo: non ci sono punti d’appoggio empatico (altro che Freddo, Dandy e Libanese). In questo senso Gomorra è il risultato di una scelta coraggiosa, che avvicina la serie alla dimensione di un Padrino contemporaneo e realista, covo di vipere, prepotenze e umiliazioni basate su un codice criminale che non ha nemmeno una seconda faccia della medaglia – visto che ai rapporti familiari dei sicari sono dedicate scene senza calore, senza retorica. Sarà interessante vedere la reazione del pubblico: la sfida non è banale.
Piccole note a margine. La regia dei dodici episodi è divisa tra Sollima, Comencini (Un giorno speciale) e Cupellini (Una vita tranquilla), come è tripartita la narrazione orizzontale: il potere, nella famiglia Savastani, passa di mano in mano lungo i 12 episodi, dal padre Pietro, alla moglie Imma (dirige la Comencini) e infine al figlio Gennaro (Cupellini), più un episodio “extra” girato interamente in Spagna. Lo story editor è Stefano Bises, gli altri sceneggiatori Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi, Filippo Gravino, Maddalena Ravagli: di fronte a tanta grazia tocca citarli tutti. Mentre Roberto Saviano ha collaborato al soggetto, ispirato alla prima faida di Scampia raccontata nel suo libro. Musiche dei Mokadelic.
Bravi, bravi, bravissimi.
Per saperne di più leggi la cronaca della conferenza stampa di presentazione.
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