E così, 34 anni dopo il suo primo lungometraggio animato, Hayao Miyazaki si ritira dalle scene – sempre che non si tratti di un falso allarme, e non sarebbe il primo nella sua carriera, e naturalmente i fan sperano che non sia l’ultimo. Ma guardiamo in faccia la realtà, almeno questa volta, anche se stiamo parlando del fondatore dello Studio Ghibli e non è facile tenere a freno la fantasia; guardiamo in faccia la realtà e ammettiamolo: questa volta non ci sono dubbi o ripensamenti. Questa volta Miyazaki si è ritirato davvero.
Lo fa con un ultimo film, The Wind Rises, che ha incantato il pubblico di Venezia, Italia, quel Paese che Miyazaki da sempre ama e da sempre omaggia – ricordate i Navigli trasfigurati, fiabeschi e quasi irriconoscibili di Porco Rosso? Lo fa con un ultimo film che in patria ha suscitato ammirazione e polemiche in egual misura, perché accusato (dalla sinistra giapponese) di essere filomilitarista e (dalla destra giapponese) di essere troppo pacifista, perché qualcuno ci ha visto una critica al suo Paese e alla politica d’oggigiorno, perché qualcuno si è persino lamentato dei personaggi che fumano troppe sigarette. Dopo sette lustri di fiabe, visioni e metafore, Miyazaki si congeda con una lettera d’amore al suo Paese, non celata dietro simboli o suggestioni. Quasi una dichiarazione d’intenti: mi avete amato per i miei mondi fantastici, forse ora capirete che erano meno fantastici di quanto sembrassero.
Gli indizi di questo imminente addio erano tanti, per chi sapeva guardare. Il progressivo passaggio di consegne al figlio Goro, ahinoi non baciato dallo stesso talento del padre, ma chissà che non cresca e maturi anche lui, e un domani arrivi non farci rimpiangere Hayao. Frasi più o meno sibilline su diversi progetti, legati al suo passato ma inevitabilmente proiettati al futuro, quel futuro nel quale Miyazaki non si vede più parte attiva e creativa dell’entità che lui stesso ha co-fondato nel 1985: Nausicaä della valle del vento fu il film che lo convinse a dar vita allo Studio Ghibli, e l’idea di dare finalmente vita al sequel e affidarlo in mani altrui, per quanto fidate, è di un simbolismo quasi cristallino.
Quel che ci lascia Miyazaki è difficile da quantificare in poche righe: si potrebbe pontificare sui soliti temi, sull’impronta ecologista di ogni suo film, sul suo rifiuto di ogni tipo di guerra e sulla fascinazione innegabile che il conflitto e le sue conseguenze hanno sempre esercitato su di lui, sul suo essere un vero e proprio “visionario del quotidiano”, in grado di vedere la meraviglia nei dettagli più ordinari e nei luoghi più banali. Si potrebbe fare il giochino di decidere qual è il suo film migliore: qualcuno dirà che è La città incantata, la prima opera di Miyazaki a fare breccia nelle masse occidentali, qualcun altro dirà Porco Rosso, i fan di lunga data sceglieranno a fatica tra Principessa Mononoke e Nausicaä, i raffinati punteranno su Laputa. E poi: i bambini sceglieranno Ponyo, l’opera più accessibile e fanciullesca del regista, e gli aficionados punteranno su Il mio vicino Totoro, sorta di manifesto dello Studio Ghibli, in cui magia e surrealtà diventano strumenti potenti per affrontare i drammi di tutti i giorni.
C’è qualcosa per tutti, nella filmografia di Miyazaki e ancora di più nell’opera dello Studio Ghibli, che della creatività del suo fondatore si alimenta da sempre. Ci sono videogiochi, se è quello che vi appassiona. Ci sono film diventati visione obbligatoria in Giappone come Una tomba per le lucciole. Ci sono cortometraggi, manga e saghe infinite. C’è tutto un mondo, insomma, che Miyazaki cesella pazientemente da quasi quarant’anni e che ora ha affidato a mani altrui, sicuramente fidate, sicuramente talentuose. Ma altrettanto magiche? Questo riesce difficile crederlo, e ci piacerebbe che il nostro scetticismo venisse presto smentito. Per ora non resta che ringraziare Hayao Miyazaki per tutto quanto: ne sentiremo la mancanza.
Qui sotto, uno spettacolare poster che racchiude tutti i lungometraggi targati Miyazaki: clicca per ingrandirlo
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