Alla Festa del Cinema di Roma è il giorno dei Manetti Bros: Marco e Antonio hanno approfittato dell’Incontro Ravvicinato a loro dedicato per ripercorrere la loro carriera e anticipare qualcosa dell’attesissimo Diabolik, trasposizione cinematografica con protagonisti Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea.
La prima parte è un riepilogo della storia dei due fratelli che hanno trionfato ai David di Donatello 2018 con Ammore e Malavita. Una carriera iniziata già in tenera età, per Marco: «La verità è che io mi sono sempre sentito regista, mi è sempre sembrato ovvio che mi sarei messo a fare film», sin da quando in seconda media ha provato a far mettere in scena alla classe una commedia gialla che aveva scritto. Anni di gavetta dopo, eccolo sul set di De generazione assieme al fratello Antonio, che ha nel frattempo iniziato a percorrere autonomamente la stessa strada. Un binomio particolarmente fortunato che gode di un “metodo” sperimentato: «Sul set siamo metodici e precisi, ma fare cinema non è solo questo. Il regista si occupa di varie fasi. Facciamo tutto in maniera caotica tranne il set» dice Marco.
Nella pratica, hanno raccontato che Antonio essendo anche operatore resta più concentrato sulla camera, lasciando più spesso a Marco il compito di parlare con gli attori («Ma entrambi abbiamo voce in capitolo»). Il loro stile si è evoluto col tempo e i Manetti Bros ora si auto-definiscono membri del Comitato di Liberazione della Macchina da Presa: una definizione fondamentale per la loro idea di libertà artistica.
Una poetica registica che trova le sue radici nel piccolo ma fondamentale Piano 17 (2005), che nonostante avesse un budget estremamente inferiore rispetto a Zora la Vampira, «ci ha insegnato che il budget non è tutto. Piano 17 è stato fatto con 70.000 euro, si vede ma è libero. Film importantissimo, lo dico senza retorica: ho pianto sapendo che nella mia vita mai più avrei avuto un esperienza con questo livello di libertà e freschezza» ricorda Marco Manetti.
In realtà il dinamico duo di fratelli ha poi provato (e spesso è riuscito) a fare proprio quel metodo produttivo di assoluta libertà degli attori e della macchina da presa, riscontrabile anche in L’arrivo di Wang e Song’e Napule, il film che li ha consacrati definitivamente al successo. «Noi reputiamo questo film il nostro più grande successo – dicono i fratelli, ricordando che è stato mostrato per la prima volta proprio alla Festa del Cinema di Roma – L’applauso è stato il passaggio dalla libertà al successo».
Cr. Daniele Venturelli / WireImageUn film in cui Napoli è protagonista, ma non ancora vissuta tramite l’esperienza dei Manetti: è solo con Ammore e Malavita, scritto da loro, che sono riusciti a integrarsi con la città e restituire quegli aspetti che l’hanno portato al trionfo assoluto. «Un film fatto con incoscienza» lo definiscono, ma anche con rigoroso calcolo. Per bilanciare le canzoni nel film, hanno studiato tutti i grandi musical della storia: «Abbiamo capito che Grease aveva l’equilibrio perfetto tra parlato e cantato. Ci siamo accorti nel rivedere i musical italiani che c’era sempre qualcosa che stonava, difficilmente le canzoni erano veramente parte della storia, le parole. Spesso era solo una parentesi, ci tenevamo invece che fosse importante raccontare la storia tramite le parole delle canzoni».
Si arriva infine al grande evento dell’Incontro Ravvicinato coi Manetti Bros, la parentesi su quel Diabolilk a lungo atteso e finalmente nelle sale il 16 dicembre (QUI il trailer). A giudicare dalla reazione a caldo della sala, la passione per il materiale di base di Antonio e Marco è stata subito capita: «É un film importantissimo, è il coronamento del mettere in scena una cosa che ami, un fumetto che abbiamo amato tantissimo». C’è anche tanta emozione, in questo momento: «Siamo tesi ed emozionati, è la prima volta che viene mostrato qualcosa al pubblico ed è il primo film per cui abbiamo delle aspettative».
Ancora due mesi esatti, ma è già il caso di dirlo: Diabolik sta arrivando!
Foto: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for RFF
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