E’ raggiante e bellissima Claudia Pandolfi (classe ’74) quando ci raggiunge dopo la conferenza stampa milanese de I più grandi di tutti (in sala dal 4 aprile) di Carlo Virzì. Nella sua spigolosa sensualità spiccano due occhi magnetici, che catturano immediatamente l’attenzione mentre ci racconta la sua esperienza d’attrice con entrambi i fratelli Virzì. Reduce dal premio Anna Magnani alla migliore protagonista per Quando la notte, ricevuto nei giorni scorsi al Festival di Bari, l’attrice si è concessa con disponibilità alle nostre domande, regalandoci anche scorci della sua vita privata, specialmente di madre. E ci è apparsa una donna serena e sicura di sé, completamente diversa dalla fragile e smarrita Sabrina Cenci, la ex rocker dei Pluto, tra i protagonisti del nuovo film di Virzì Jr..
Hai lavorato con entrambi i fratalli Virzì. Hai recito in Ovosodo e La prima cosa bella di Paolo e ora con Carlo ne I più grandi di tutti. Quali somiglianze e differenze hai notato come attrice nel loro approccio al lavoro e nella direzione degli attori?
CLAUDIA PANDOLFI: «Due persone diverse. Due mondi diversi. Anche se hanno lo stesso cognome. Paolo, nei suoi film, ha sempre coinvolto Carlo. Io ho conosciuto prima Carlo di Paolo e, tra l’altro, per Ovosodo. Per quel film, infatti, Carlo faceva il casting. Il loro è un sodalizio artistico. C’è sempre un po’ di Carlo nei film di Paolo e viceversa. Anche se I più grandi di tutti è prettamente un film di Carlo, Paolo si è messo parecchio da parte. Paradossalmente c’è un intervento superiore di Carlo nei film di Paolo.
Paolo è esuberante. I suoi set sembrano dei circhi, ma ha il controllo di tutto. I due hanno un’età e una maturità professionali diverse. E quindi Paolo ha anche molte meno “mezze misure”. Carlo è una persona dolcissima, che ha comunque le idee chiarissime. Sul set, aveva la sua precisa visione del film che voleva fare. Ma ci arriva attraverso altri modi. In realtà lui è pieno di sfumature, ti coinvolge piano piano. Fortunatamente sono così diversi, ma entrambi meravigliosi e non c’è una preferenza da parte mia. Sono entrambi molto bravi e talentuosi. Non c’è competizione»
Sabrina Cenci è una ex rocker che si è imborghesita suo malgrado. Una scelta di cui si è evidentemente pentita, come ci viene mostrato nel film. Hai anche tu rimpianti professionali o personali?
CP: «No. E non voglio. Naturalmente ho fatto degli errori. Anche enormi. Ma preferisco avere un rimorso piuttosto che un rimpianto»
E cosa ti guida nelle scelte? L’istinto? Il cuore?
CP: «La pancia. Quando c’è troppa testa… è lì che non stai scegliendo. Ogni volta che ho dato retta alle viscere forse ho fatto cose sconvolgenti anche per me, ma che poi hanno funzionato»
Grazie al successo di The Artist e Quasi amici, il cinema francese ha giovato in generale di una ricoperta internazionale. Può accadere anche per il cinema italiano?
CP: «E’ il sistema culturale italiano che non può permettersi al momento di competere con quello francese. In Italia ci sono dei geni che “se magnano” alcuni francesi. Il problema è che qui non c’è la stessa protezione del sistema culturale. Loro investono nell’industria del cinema. E sono contenta che non stiamo parlando di un confronto tra cinema italiano e americano. Dove il paragone è come quello tra un artigiano che ti fa il panino con il prosciutto giusto e la multinazionale che ti offre un sandwich di plastica. L’ideale sarebbe che i “grassi” successi al botteghino, come i film di Zalone, creassero un indotto per tutta la produzione cinematografica italiana. Un tempo i produttori facevano così. Quello che fa cassa dovrebbe aiutarli a investire anche sul nuovo. E non succede più. Mentre in Francia ancora funziona così»
C’è un film italiano o straniero che ti ha colpito particolarmente?
CP: «Corpo celeste di Alice Rohrwacher. Mi vengono ancora i brividi a pensare a quel film. Non voglio dire che sembra un film francese, ma in un certo senso lo è. Lei, giovane, bravissima, forte ed è riuscita a girare un film bellissimo e coraggiosissimo. Una storia assolutamente sconvolgente per l’Italia nel modo di affrontare il tema della fede. Vorrei parlarci per sapere come ha fatto… Comunque sono ottimista e credo che mio figlio vivrà in un futuro migliore»
Si diventa ottimiste facendo dei figli?
CP: «Per forza. Per mio figlio immagino un riscatto. Mio nonno diceva: “Io ho fatto la guerra”. Io potrò dire ai miei nipoti: “Io ho fatto gli anni Ottanta”. In un certo senso abbiamo affrontanto la stessa deriva culturale. All’epoca c’era il problema di cosa mangiare, noi invece avevamo il problema di cosa pensare. Di come nutrire il cervello. Credo che oggi mio figlio abbia tutti gli strumenti per crescere, mentre è la mia generazione quella in difficoltà. Siamo persone che pensano a come rifarsi la faccia. Mio figlio non avrà mai una fidanzata con la faccia rifatta, magari l’avrà sua madre la faccia di plastica, ma non lei. Sono io a dare gli strumenti a mio figlio ed è un bambino senza pregiudizi e pieno di curiosità. L’altro giorno mi ha chiesto: “Ma se due uomini si sposano, uno deve per forza vestirsi da donna?” E io: “Ma tu non eri fidanzato con Zoe?”. Ma lo voleva sapere. Non lo contamino con dei luoghi comuni. La mia risposta non è mai “Perché sì”. E io invece ne ho ricevuti tanti, da tutti e non solo da mia madre e da mio padre, che per altro erano persone apertissime»
Tornando a I più grandi di tutti, quanto vi siete divertiti sul set?
CP: «Da zero a cento? 800 milioni! Tanto davvero, anche perché il film lo permetteva. Siamo tutti amici e chi non lo era lo è diventato. Anche tutta la troupe era contagiata, avevano tutti la magliettina dei Pluto»
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
CP: «Cinque anni e mezzo fa ho partorito un ragazzino… Starò un po’ con Gabriele. Si fa di necessità virtù (ride, ndr). Ora non devo lavorare e starò un po’ con mio figlio. Ho lavorato tanto nell’ultimo anno e mezzo e quindi ora sarò tutta sua. Quando posso comunque cerco di portarlo con me, ma non voglio fargli vivere la mia vita da “zingara”. E se si tratta di lavorare al Polo Nord… beh, rinuncio al lavoro»