Il Dandi che divenne celerino. Il celerino che si trasformò nel “più grande di tutti”… C’è chi dice «Anno bisesto, anno funesto». Eppure a qualcuno sembra portare fortuna. È il caso di Alessandro Roja, attore romano classe ’78, che nei calendari 2008 e 2012 ha incasellato tappe determinanti. È nel 2008, infatti, che l’allora trentenne Roja, diplomato alla scuola Nazionale di cinema, debutta sul grande schermo con Tutta la vita davanti di Paolo Virzì e sul piccolo con la serie Romanzo criminale di Stefano Sollima (ACAB). Dove veste i panni del Dandi, che al cinema furono di Claudio Santamaria, suo grande amico e accanto al quale lo vedremo recitare in Diaz. «Sollima mi ha dato tutto. È stato colui che ha acceso il fuoco e mi ha permesso di fare questo lavoro come ho sempre desiderato» racconta Roja con affetto. D’altra parte, Alessandro ha cavalcato immediatamente l’onda del successo, ottenendo – solo quest’anno – una partecipazione in Magnifica presenza di Ferzan Ozpetek, «che mi ha onorato», il ruolo di uno spietato celerino nell’acclamato Diaz di Daniele Vicari, presentato a Berlino, e un ingaggio da protagonista ne I più grandi di tutti, commedia di Carlo Virzì (fratello di Paolo), che ha entusiasmato la stampa a Torino. «Carlo mi ha chiesto di lavorare “in antitesi” sul mio personaggio perché il batterista Loris è completamente lontano da me e dai miei atteggiamenti. In particolare ha insistito sullo sguardo, che doveva essere quasi perso». Presto lo vedremo in tv, su Rai 1 ne L’olimpiade nascosta di Alfredo Payretti, ma dei suoi sogni nel cassetto non ci rivela nulla… «per scaramanzia».
BM: Ad aprile debutti in sala con tre film: Diaz, Magnifica presenza e – come protagonista – I più grandi di tutti. Tre opere molto diverse nelle quali interpreti personaggi altrettanto distanti tra loro. Oltre una certa notorietà, il successo di Romanzo criminale ti ha portato anche la possibilità di scegliere tra una vasta gamma di ruoli. Quale ruolo ti calza meglio? In quali panni ti sei sentito maggiormente a tuo agio? E quali ti hanno divertito di più?
AR: «Calza meglio… Non saprei. Nessuno di questi personaggi è vicino alla mia persona, in realtà, e mi sono divertito sempre perché amo molto il mio lavoro. È chiaro che ne I più grandi di tutti, il mio personaggio Loris – proprio per la grandezza del ruolo, dato che è il protagonista – mi ha dato la possibilità di approfondire meglio il mio lavoro. E mi ha fatto divertire molto, anche grazie al rapporto instaurato con Carlo (Virzì, il regista, ndr) e allo spirito stesso del film. Sono stato felice anche di poter dar vita a un personaggio in antitesi sia con me stesso sia con quello che probabilmente mi ha reso più famoso: il Dandy di Romanzo criminale. In Magnifica presenza, Ferzan mi ha dato la possibilità di esplorare un pochino il suo mondo. Io avevo appena terminato le riprese di un film per la Rai e l’ ho conosciuto. Lui però aveva già fatto il suo cast e già chiuso il film e mi ha chiesto una piccola “partecipazione”, un bagliore di passaggio. È stato davvero un onore per me».
BM: Per interpretare ognuno di questi personaggi, tra l’altro, ti sei sottoposto a una vera e propria trasformazione fisica… Che si nota soprattutto ne I più grandi di tutti.
AR: (ride) «Devi sapere che io e Carlo ci siamo conosciuti giocando a calcetto. Quindi lui aveva questa immagine “atletica” di me… Così, quando ho fatto il provino, prima di tutto mi ha chiarito molto bene come aveva immaginato Loris, che innanzitutto avrebbe dovuto avere una fisicità molto diversa da me e da quella del Dandy. Ho lavorato anche con una nutrizionista sulla “pancetta”».
BM: Ora sei tornato in forma?
AR: (ride) «Diciamo che sono tornato “normale”. Per il film ero un pochino sovrappeso, ho lasciato crescere capelli, barba. Poi abbiamo lavorato anche molto sul tipo di accento. Carlo non voleva che fosse legato al livornese, ma più alla provincia. E che fosse quindi più morbido, più gentile, come è Loris… Era molto preciso, Carlo. Sapeva benissimo che tipo di storia voleva raccontare e come».
BM: Insomma, ti sei sottoposto a una trasformazione degna dell’Actors Studio… Che tipo di approccio hai quindi alla recitazione? Sei uno da Metodo Stanislavskij o ti avvicini ai personaggi in maniera meno viscerale?
AR: «Partiamo dal presupposto che io sono proprio un appassionato di recitazione. Per me è un vero piacere assistere alle performance di grandi attori. Quando ho fatto il Centro Sperimentale, inoltre, ho avuto la fortuna di studiare con insegnanti di tante scuole diverse, dal metodo Stanislavskij, a Strasberg fino alla scuola russa e a Orazio Costa. Insomma, ho avuto una formazione molto “contaminata” e ho capito che il mio è un lavoro in un certo senso sartoriale, nel quale posso mettere insieme tutto e non seguire un’unica strada. Da ogni scuola attingo gli elementi che mi permettono di arrivare più velocemente all’obiettivo, cioè avere naturalezza in ambiti che non mi appartengono nella mia quotidianità e arrivare al “mio” metodo. Carlo, in particolare mi ha chiesto di lavorare in antitesi sul mio personaggio perché Loris è completamente lontano da me e dai miei atteggiamenti. Ha insistito specialmente sullo sguardo, decisamente poco smaliziato, ma anzi perso».
BM: So che non suoni alcuno strumento. Come sei diventato il batterista dei Pluto ne I più grandi di tutti?
AR: «È arrivata una batteria a casa e, un po’ con l’aiuto del mio amico Giancarlo (Cornetta, batterista dei Velvet, ndr) e di un coach, ovvero Rolando Cappanera, che mi ha insegnato a tenere un certo ritmo e una personalizzazione del gesto».
BM: Ci ha colpito molto il rapporto padre-figlio, che Loris ha instaurato con il suo bambino… Sembra si senta quasi inadeguato, che non abbia capito ancora il suo ruolo nella vita del piccolo
AR: «È proprio così, ma almeno è onesto».
BM: Da Sollima a Virzì e Vicari. Hai lavorato con registi “emergenti” e con colleghi che, come te, stanno conquistando sempre maggiore spazio e successo. Ci troviamo di fronte a un ricambio generazionale?
AR: «Più che ricambio, credo che ci sia una sorta di linea di continuità con un gruppo di autori e interpreti che vanno da Rossi Stuart a Favino e Santamaria, che hanno mantenuto una qualità molto alta nel nostro lavoro ed è normale che si continui su questa strada. Prendiamo ad esempio il gruppo di Romanzo: noi tutti cerchiamo di lavorare perseguendo certi standard. Lavoriamo in maniera molto seria, ma non seriosa».
BM: A proposito di Romanzo criminale, come vi siete rapportati ai personaggi del film che ha preceduto la serie? Avvertivate il confronto con i vostri colleghi cinematografici?
AR: «A livello creativo mai perché le sceneggiature erano così definite e le nostre fisicità così diverse, che abbiamo dato spazio alla nostra fantasia e a quello che Sollima ci richiedeva. Quindi non c’è stata mai una sovrapposizione con i personaggi del film. Sicuramente all’inizio facevamo ironia sull’andare a sfidare una così nutrita panchina di attori importanti. Ma l’abbbiamo abbandonata dopo le prime settimane perché poi hanno preso vita i nostri personaggi. Rimaneva il rispetto, ma abbiamo preso la nostra strada».
BM: Ci hai raccontato il tuo rapporto professionale con Virzì e il suo metodo. Cosa ti hanno trasmesso invece Sollima, Vicari e Ozpetek?
AR: «Innanzitutto mi ritengo molto fortunato, soprattutto negli ultimi anni. Carlo, come ho già detto, aveva le idee molto chiare e mi sono affidato a lui completamente. Ha dato a tutti totale libertà creativa.
Sollima mi ha dato tutto. È stato quello che ha acceso il fuoco. È stato quello che mi ha dato la possibilità di fare questo lavoro come ho sempre desiderato. E poi in Italia era da tanto tempo che non faceva un gangster movie così definito. Stefano ha una grande grinta e quando sente che hai totalmente in mano il personaggio ti dà libero accesso a certe zone che neppure lui aveva immaginato. È un regista apertissimo a sfruttare il guizzo dell’attore.
Diaz è una storia che si compone di tantissimi frammenti, esperienze singole che formano il quadro generale dell’evento. Quando ho incontrato Daniele (Vicari, il regista, ndr), venivo da un periodo di “protagonisti”. Ma ho abbandonato subito qualsiasi tipo di vanità per affrontare questo ruolo “minore” perché lui stesso mi ha fatto capire fin da subito l’importanza di ogni singolo personaggio, dato che il film è una composizione di inserti. Ho dovuto raccontare in pochissimo tempo la sintesi di una tipologia umana: un celerino che perde il controllo e che vede quella notte come un luna park. Spero che, nella deflagrazione del film, questo frammento rimanga. Ho avuto uno splendido rapporto con Daniele e ha fatto un film cinematograficamente importante con un materiale che avrebbe potuto sovrastarne l’aspetto artistico».
BM: Dopo Romanzo criminale, questo è forse il momento di raccogliere i primi frutti. La gente comincia a riconoscerti per strada… Come vivi la notorietà?
AR: «Ormai, dopo la prima serie, la vita è cambiata. Mi capita di pensare di conoscere molte più persone. Quando qualcuno mi guarda per strada mi dico: “Forse lo conosco…”. E invece è qualcuno che mi ferma per farmi i complimenti. Mi fa un immenso piacere soprattutto non essere più solo legato al personaggio della serie perché iniziano a chiamarmi per nome. È una sensazione scioccante e bellissima».
BM: Quali sono i tuoi progetti futuri?
AR: «Attualmente sto terminando il doppiaggio di un film per Rai1, L’olimpiade nascosta di Alfredo Payretti, che abbiamo girato in inglese con un cast internazionale».
BM: Quali sono i tuoi obiettivi professionali? Con quali attori e registi ti piacerebbe lavorare?
AR: «Non lo dico perché sono un po’ scaramantico».
(Foto: © Roberta Krasnig)
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