La novità di maggior successo questa settimana sulla piattaforma Netflix è Il Caso Yara: Oltre Ogni Ragionevole Dubbio, la docuserie sviluppata e diretta da Gianluca Neri, scritta da Carlo G. Gabardini, Gianluca Neri ed Elena Grillone, già autori dell’acclamato documentario SanPa: Luci e tenebre di San Patrignano.
E immancabilmente, l’attenta ricostruzione e tutti i pesanti interrogativi posti attraverso i 5 episodi della serie hanno riaperto la discussione su uno dei più controversi casi di cronaca nera nella recente storia d’Italia: l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio e la condanna all’ergastolo del carpentiere Massimo Bossetti. In particolare, la docuserie Netflix pone l’accento su tutti gli errori, le irregolarità e le stranezze che hanno caratterizzato le indagini. Lo stesso Bossetti parla per la prima volta di fronte alla telecamere, continuando a professare strenuamente la propria innocenza, nonostante la condanna all’ergastolo sia stata ormai confermata anche in Cassazione, ovvero in tutti e tre i gradi di giudizio.
Il Caso Yara: Oltre Ogni Ragionevole Dubbio riapre così il fronte di innocentisti e colpevolisti. E mentre una parte dell’audience trova perfino ingiusto e offensivo, nei confronti dei familiari di Yara Gambirasio, che a Bossetti sia stata offerta l’opportunità di proporsi come una vittima, una sorta di capro espiatorio, incastrato da un clamoroso caso di ingiustizia processuale e giudiziaria, per altri la sua colpevolezza resta più che dubbia, mentre la condotta del Pubblico Ministero Letizia Ruggeri risulta oggetto di pesantissime accuse.
Dal primo episodio, la docuserie ricostruisce minuziosamente tutte le varie fasi di una vicenda che non ha precedenti nella storia d’Italia. La tredicenne di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, scompare il 26 novembre 2010 dopo una visita alla palestra da lei abitualmente frequentata per le lezioni di ginnastica artistica. Verrà ritrovata soltanto tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011. Sui sui resti, in particolare sui leggings e sugli slip, tagliati in quella che si ritiene una aggressione sessuale finita male, gli investigatori riescono a isolare il profilo genetico di un uomo, denominato inizialmente Ignoto 1. E dopo una indagine dalla metodologia inedita, che ha previsto di effettuare il test del DNA su circa 25.700 persone tra Brembate e i comuni limitrofi, la PM accusa formalmente un operaio edile quarantenne, appunto Massimo Bossetti.
L’uomo scopre peraltro di essere il figlio illegittimo di un autista deceduto nel 1999, Giuseppe Guerinoni. Il suo profilo è infatti il primo a essere identificato, e solo dopo l’esclusione dei figli legittimi gli inquirenti risalgono a Ester Arzuffi, madre di Bossetti, la quale continuerà per altro a negare, arrivando a chiamare in causa un fantomatico ginecologo che l’avrebbe ingannata a sua insaputa. Le bugie della donna e dello stesso Bossetti, insieme al suo maldestro tentativo di fuga, sembrano inizialmente convincere anche l’opinione pubblica della colpevolezza del carpentiere. Ma oggi, insieme ai suoi legali, la docuserie Netflix gli offre l’occasione di proclamare ancora la propria innocenza, sottolineando alcuni aspetti controversi del procedimento.
Causa un certo sconcerto l’ammissione da parte delle stesse forze dell’ordine che il video diffuso a tambur battente dai media, rappresentante il furgone bianco di Massimo Bossetti, intento a girare insistentemente attorno alla palestra frequentata da Yara, sia in realtà frutto di un montaggio e sia stato diffuso “a scopo dimostrativo”. Eppure, nonostante la serie non manchi di sottolineare errori e incongruenze da parte degli inquirenti, resta sempre salda la prova che inchioda l’uomo all’orribile assassinio: l’ingente presenza del suo DNA sull’intimo e i leggings della bambina, peraltro deceduta non a causa delle ferite da taglio ma per essere stata così crudelmente abbandonata al freddo, in pieno inverno, dopo l’aggressione.
Ed ecco che la docuserie Il Caso Yara: Oltre Ogni Ragionevole Dubbio solleva l’interrogativo cruciale della vicenda. Se Massimo Bossetti e i suoi legali si dichiarano assolutamente certi che sia stato commesso un errore, la PM Letizia Ruggeri avrebbe deliberatamente fatto distruggere ulteriori 54 campioni di DNA per impedire loro di ripetere l’identificazione? I campioni sono stati infatti trasferiti dal San Raffaele di Milano, dove erano conservati a una temperatura di 80 sotto zero, alla temperatura ambiente dell’Ufficio corpi di reato del tribunale di Bergamo. E secondo i legali di Bossetti, si sarebbe trattato di un atto deliberato per comprometterli e renderli inutilizzabili. Un’accusa certamente gravissima, che pure la docuserie sembra dare quasi per scontata.
Sulla vicenda si incentrerà ora un nuovo procedimento, che vede questa volta imputata la PM Ruggeri per frode processuale e depistaggio. La prima udienza è stata già rimandata e dovrebbe svolgersi il prossimo 24 luglio. Secondo la Procura di Venezia, che ha richiesto l’archiviazione, la procedura si sarebbe però svolta regolarmente secondo i termini di legge, e non ci sarebbe stata alcuna volontà da parte del Pubblico Ministero di distruggere prove valide per una eventuale revisione del processo, che, come ripetiamo, ha già confermato in tutti e tre i gradi di giudizio il carcere a vita per Massimo Bossetti.
E voi cosa ne pensate? Avete già visto la serie su Netflix? Ha cambiato le vostre idee su questa tragica vicenda? Fateci conoscere le vostre opinioni, come sempre, nei commenti.
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