Il Caso Yara: tutte le informazioni e le verità omesse dalla serie Netflix
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Il Caso Yara: tutte le informazioni e le verità omesse dalla serie Netflix

Lo show ha un taglio nettamente innocentista, ma molti spettatori hanno sottolineato l'omissione di importanti dettagli sulla vicenda e sull'ambigua figura di Massimo Bossetti

Il Caso Yara: tutte le informazioni e le verità omesse dalla serie Netflix

Lo show ha un taglio nettamente innocentista, ma molti spettatori hanno sottolineato l'omissione di importanti dettagli sulla vicenda e sull'ambigua figura di Massimo Bossetti

Il Caso Yara - Oltre ogni ragionevole dubbio

Il Caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio resta saldamente al numero 1 tra le serie più gettonate dagli utenti Netflix. La docu-serie creata e diretta da Gianluca Neri ha riacceso i riflettori sull’assassinio della tredicenne Yara Gambirasio, scatenando infuocate polemiche, in particolare per quanto riguarda il fronte degli innocentisti, sempre più convinti che Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo in tutti e tre i gradi di giudizio, sarebbe in realtà solo un capro espiatorio.

Ma c’è qualcosa che non torna. Per quanto la docu-serie ricostruisca con estrema dovizia di particolari indagini e procedimento penale, molti spettatori hanno fatto notare come altre informazioni siano state totalmente omesse o riportate solo da un punto di vista estremamente parziale, mentre per altri lo stesso taglio innocentista condiziona l’intera ricostruzione della vicenda, risultando offensivo nei confronti della vittima e dei suoi familiari, i quali hanno scelto peraltro di rimanere del tutto estranei alla produzione dello show, conservando anche in questa occasione il più assoluto riserbo e il più totale silenzio.

Anzitutto, la docu-serie Il Caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio solleva un’accusa, ovvero che l’eventuale coinvolgimento di Silvia Brena, maestra di ginnastica della piccola Yara, e del custode della palestra abitualmente frequentata dalla ragazzina, Valter Brembilla, non sarebbero stati adeguatamente investigati dagli inquirenti. Al contrario, la maestra di ginnastica, il cui DNA era presente sul polsino del giubbotto di Yara Gambirasio, insieme ai suoi familiari è stata ripetutamente interrogata, sottoposta a intercettazioni ambientali e anche a tampone salivare. E per quanto riguarda il custode, sono stati effettuati gli stessi accertamenti, più la perquisizione e i rilievi sul pulmino in suo possesso, che non hanno evidenziato nulla che potesse ricondurre alla presenza della vittima. Sembrerebbe quindi piuttosto fuorviante lasciar intendere agli spettatori che possibili colpevoli siano stati deliberatamente ignorati dalle indagini.

Per quanto riguarda il DNA che inchioda Massimo Bossetti all’assassinio della piccola ginnasta, il genetista forense Emiliano Giardina, intervistato nel corso della serie, ha lamentato pubblicamente (vedi ad esempio le dichiarazioni rilasciate all’Huffington Post) che le sue dichiarazioni siano state tagliate in montaggio, riportate solo parzialmente e così distorte. A proposito dei risultati delle analisi, nella sentenza di Appello, poi confermata in Cassazione, si legge chiaramente: «Oltre ad essere stati utilizzati kit diversi, pozzetti diversi, personale diverso, diluizioni diverse, sequenziatore diverso, è stato utilizzato per le analisi addirittura un diverso laboratorio. In definitiva, su 104 tracciati, in ben 71 è stata riscontrata la presenza del Dna e, quindi, del profilo genetico di un individuo di sesso maschile (…) gli altri 33 tracciati sono risultati illeggibili o non interpretabili».

Perché dunque lasciar intendere che alla difesa sarebbe stato impedito di ripetere le indagini allo scopo di non individuare un clamoroso errore? Il fatto che alcune provette inutilizzate siano state danneggiate, può mettere in dubbio la validità del profilo genetico di Ignoto 1, per altro isolato ben prima che fosse associato al carpentiere di Mapello? E perché mettere sullo stesso piano la presenza di DNA sul polsino della giacca di una persona frequentata abitualmente dalla ragazzina con l’ingente presenza di DNA di un perfetto sconosciuto sugli slip, i leggings e in prossimità delle ferite?

C’è poi una vicenda che riguarda Massimo Bossetti che è stata completamente omessa dal documentario Netflix. Mentre si parla delle relazioni extra-coniugali della moglie Marita, sempre rimasta al fianco dell’uomo anche dopo la condanna definitiva, non si fa minimamente menzione delle 40 lettere hot scritte da Bossetti a un’altra detenuta del carcere, peraltro incluse negli atti processuali e diffuse da moltissime testate giornalistiche. E non avevano certo mancato di destare scandalo i toni utilizzati dal carpentiere, il quale si rivolge alla donna, di nome Gina, decantando la propria prestanza sessuale e sottolineando le cura che riserva al proprio stesso corpo, dalla depilazione all’abbronzatura all’utilizzo quotidiano della crema Nivea. Le lettere hanno rappresentato un caso mediatico, perché ometterne l’esistenza?

Infine, il produttore e creatore della serie, Gianluca Neri, già autore dell’acclamata docu-serie SanPa: Luci e tenebre di San Patrignano, non era del tutto estraneo alla vicenda, altro fatto omesso da Il Caso Yara. È la persona che nel luglio 2017 ha scoperto l’esistenza di una foto satellitare, scattata dal satellite WorldView-1 il 24 gennaio 2011, ovvero nel periodo compreso tra il giorno della scomparsa di Yara Gambirasio il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra e il giorno del ritrovamento del suo corpo senza vita in un campo incolto di Chignolo D’Isola il 26 febbraio 2011. Il suo nome è emerso dalle testate dell’epoca come Repubblica, che hanno coperto la notizia, e il dettaglio è presente addirittura nella sua pagina Wikipedia.

Per alcuni esperti, la foto avrebbe comunque una risoluzione troppo bassa per determinare l’assenza di un corpo. Ma Gianluca Neri, a partire dalla seconda udienza di appello presso il Tribunale di Brescia, il 6 luglio 2017, ha partecipato al processo schierato tra i banchi della difesa. L’idea che il corpo sia stato solo successivamente abbandonato in quel campo fa parte delle tesi alternative, tutte incentrate sull’idea che Yara sia stata uccisa all’interno della palestra. Ma perché non premettere che l’autore della docu-serie è assolutamente convinto dell’innocenza di Bossetti?

Di certo, i dubbi su questo prodotto audiovisivo restano molti, in primis l’idea che un processo per omicidio possa svolgersi sui media e sui social e non nelle sedi legali. E voi cosa ne pensate? Avete già visto la docu-serie su Netflix? Fateci conoscere le vostre opinioni, come sempre, nei commenti.

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