C’è un Pac-Man alto come la Statua della Libertà che è arrivato dallo spazio con la ferma intenzione di divorare New York. Poi, un gorilla di nome Donkey che fa sembrare King Kong un gattino e che vuole radere al suolo tutti i grattacieli d’America. E ancora un branco di invasori spaziali inferociti che vogliono crivellarci di proiettili fatti di pixel.
Il passato sta tornando di moda, e assomiglia pericolosamente al futuro. Abbiamo appena riassunto in dieci parole tutto quello che sta succedendo nel mondo dell’intrattenimento da qualche anno a questa parte: tornano i dinosauri, ma sono geneticamente modificati; torna il postatomico a quattro ruote, ma è diventato uno studio futurista sul movimento; tornano di moda i fumetti, ma declinati con lo spirito cinico e disilluso del terzo millennio. Torna persino il regista di Mamma ho perso l’aereo e con lui torna Pac-Man, in un’operazione che, per dispiegamento di mezzi tecnici, sarebbe stata impossibile anche solo cinque anni fa, figuriamoci un trentennio. C’è un motivo, anzi parecchi, se uno dei grandi blockbuster per famiglie di quest’estate (l’uscita in Italia è fissata per il 29 luglio) si intitola Pixels, l’unità grafica fondamentale di ogni immagine digitale: significa che il cinema riconosce ufficialmente che senza videogiochi non si va da nessuna parte, che il futuro dell’intrattenimento è nell’immersione, non nel distacco dal maxischermo.
E che la nostalgia resta un business miliardario, se si riesce ad aggiornarla al 2015.
La maggioranza del pubblico di Pixels, siamo pronti a scommetterci, non ha mai neanche visto un arcade (quelle “cabine” a gettoni che spopolavano nelle sale giochi di tutti i luoghi di villeggiatura del mondo, e non solo) dal vivo, né ha mai messo le mani su Pac-Man o Q*Bert. Eppure se li ritroveranno su uno schermo cinematografico, alti cinque metri e decisi – come si conviene a degli invasori alieni – a conquistare la Terra, provocati da un equivoco: le capsule temporali spedite dalla NASA nello spazio negli anni Ottanta nella speranza di entrare in contatto con forme di vita aliene, sono finite nelle mani di una razza pixellosa e molto suscettibile, che ha interpretato le immagini dei vari Donkey Kong e Space Invaders come una dichiarazione di guerra.
L’impianto del film è quello della classica pellicola per famiglie, con Adam Sandler come protagonista a mettere d’accordo grandi e piccini. Ma poiché i grandi in questione erano piccini quando Pac-Man e Frogger erano nelle sale giochi del mondo intero, Chris Columbus ha fatto di tutto per farli sentire a loro agio, e farli annegare nei ricordi. Quale arma migliore per contrastare un’invasione di videogiochi giganti dell’arruolamento più o meno coatto di un gruppo di retrogamer (gente che vive nel 2015, ma gioca ancora ai giochi del 1985) che conoscono quei personaggi come le proprie tasche, e che possono finalmente applicare le loro tattiche a una minaccia reale?
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