Il grande giorno: tra incidenti nuziali e malinconie piccolo-borghesi Aldo, Giovanni e Giacomo hanno ritrovato lo stato di grazia. La recensione
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Il grande giorno: tra incidenti nuziali e malinconie piccolo-borghesi Aldo, Giovanni e Giacomo hanno ritrovato lo stato di grazia. La recensione

L'ultimo film del trio ha confermato, dopo Odio l'estate, la bontà della maturità artistica raggiunta dai comici nuovamente al servizio del loro regista di sempre, Massimo Venier

Il grande giorno: tra incidenti nuziali e malinconie piccolo-borghesi Aldo, Giovanni e Giacomo hanno ritrovato lo stato di grazia. La recensione

L'ultimo film del trio ha confermato, dopo Odio l'estate, la bontà della maturità artistica raggiunta dai comici nuovamente al servizio del loro regista di sempre, Massimo Venier

Il grande giorno
PANORAMICA
Regia (3)
Sceneggiatura (3.5)
Interpretazioni (3.5)
Fotografia (2.5)
Montaggio (2.5)
Colonna sonora (3.5)

In una grande villa sul lago di Como tutto è pronto per celebrare il matrimonio di Elio (Giovanni Anzaldo) e Caterina (Margherita Mannino). Sarà il giorno più bello della loro vita e anche di quella dei loro genitori, soprattutto dei rispettivi padri, Giacomo (Giacomo Poretti) e Giovanni (Giovanni Storti). Peccato che insieme a Margherita (Lucia Mascino), l’ex moglie di Giovanni nonché madre della sposa, arrivi al matrimonio anche Aldo (Aldo Baglio), il suo nuovo compagno. Simpatico, espansivo e soprattutto casinista in sommo grado. Giacomo e Giovanni provano ad arginarlo in tutti i modi, ma sotto i colpi di Aldo si aprono delle crepe da cui affiora un malessere nascosto, destinato a mettere in discussione l’amicizia tra Giovanni e Giacomo, i loro matrimoni e non solo. E che costringerà tutti a fare i conti con i propri dubbi e con il coraggio che ci vuole per concedersi la felicità.

Dopo il riscatto messo a segno da Odio l’estate, uno degli ultimi film a vedere il buio delle sale prima del lockdown del 2020 e della conseguente chiusura delle sale, Il grande giorno, il nuovo film con Aldo, Giovanni e Giacomo uscito nelle sale per le feste del 2022 e diretto nuovamente dal loro regista storico e più fidato, Massimo Venier, è la conferma del ritrovato stato di grazia del trio, che veniva da anni di film appannati e addirittura da un’opera lugubre e testamentaria come Fuga da Reuma Park, in cui i fantasmi connessi a senilità e fallimenti e dei veri e propri spettri autistici dei loro personaggi più celebri si ritrovavano a convivere o per meglio dire a svernare in una sorta di tristissimo e ormai prossimo agli spegnimento luna park degli orrori. Un vero e proprio de profundis ineluttabile e senza ritorno, in apparenza.

Quel film si è rivelato invece, a conti fatti, una sorta di punto di passaggio obbligato per concedersi una catarsi come si deve, ri-azzerare tutto e ripartire di gran carriera dopo aver smaltito le scorie del passato. Se già Odio l’estate permetteva di riassaporare appieno il talento del trio nel lavorare con garbo e grazia sull’amicizia virile e sui suoi inciampi goffi ed esilaranti, affiancandosi a dei personaggi femminili solo apparentemente di supporto e chiamati a giocare di rimessa proprio come nei film storici, Il grande giorno se possibile fa anche meglio, a partire dalla scelta di confermare in blocco il team di sceneggiatura (oltre a Venier e i tre comici, anche Davide Lantieri e Michele Pellegrini). Fino a scantonare nel film corale propriamente detto, nel quale ogni caratterista è valorizzato a dovere, dall’alto prelato buontempone che giocava a burraco con Ratzinger al pretuncolo pacioso, di buona forchetta e fin troppo ancorato a bisogni prosaici, chiamato a fare da irresistibile e candida voce narrante di stampo fantozziano (il bravissimo Francesco Brandi). Come in un’orchestra ben accordata, tutti sembrano suonare una nota significativa e specifica, anche quando lo fanno in maniera dissonante e sgraziata, come nella sequenza a tavola nella quale tutti cantano, con travolgente naturalismo, Maledetta primavera

Sulla falsariga dell’esplosivo e pirotecnico C’est la vie – Prendila come viene (Le sens de la fête) di Toledano e Nakache, i bravissimi registi di Quasi amici (che ha avuto nel frattempo anche un recente e pestilenziale remake italiano, Il giorno più bello), Il grande giorno utilizza tutti i crismi e gli ingranaggi tipici della commedia matrimoniale e punta pertanto su un microcosmo amplificato e universale di situazionismo e non detti. I film ambientati nel contesto delle nozze da celebrare presentano dopotutto molto spesso dei canovacci in cui i rapporti umani e le relazioni tra le persone/personaggi sono come amplificati e tutti si sentono magari autorizzati a dire per intero quella mezza verità in più che fino ad allora hanno sempre taciuto. Se questo senso di precarietà si accompagna a un ritmo garbato ma serrato e a delle gag semplici ma oliate a dovere, come in questo caso, il risultato è già praticamente in cassaforte, con l’aggiunta di una quantità sorvegliata ma anche ben dosato di birignao e fan service per deliziare i palati degli appassionati storici del trio e del loro pubblico di più stretta osservanza. 

Ciò che colpisce maggiormente, ne Il grande giorno, è però soprattutto il modo in cui Aldo, Giovanni e Giacomo elaborano il loro essere un trio e mettono in piedi un’auto-riflessione sull’equilibrio sottile sul quale, da sempre, poggia e fa leva la loro amalgama. Giacomo e Giovanni sono infatti a questo giro più vicini del solito, legati da interessi economici (una ditta di divani con sede nella Lombardia profonda il cui motto è: “Segrate arredi… e sai dove ti siedi”) e da meschinità e rancori reciprocamente sul punto da esplodere, mentre Aldo è un personaggio quasi a margine con la sua prossemica più meridionale che mai, quasi un corpo estraneo, che non a caso sopraggiunge dopo una dose consistente di minutaggio. Questa sorta di scissione consente due cose: da un lato amplificare malinconie e rendez-vous piccolo-borghesi, che nelle zone d’ombra del rapporto tra il tirchio “Giacomone” e l’irreprensibiile (cit.) Giovanni si fanno sempre più lancinanti quando non addirittura struggenti man mano che la storia svela le sue carte – e il rispecchiamento di un pubblico altrettanto borghese, in quelle piccole e grandi miserie microscopiche e umanissime, a volersi guardare allo specchio non può che essere molto alto – e dall’altro mostrare il lato triste e abbacchiato che si cela la maschera clownesca e catastrofica e l’esuberanza sopra le righe di Aldo, con eguale sincerità e tenerezza (la stessa che investe la coda del film, in cui le “ultime volte” finiscono col contare più della retorica delle “prime volte”, e la presa di coscienza da parte delle generazioni più giovani rispetto alle ottuse carenze dei loro padri emerge a chiare lettere).

Il testo di Figli della borghesia di Brunori Sas, che da novello Samuele Bersani torna ad accompagnare le nostalgie agrodolci del trio come fossero “l’avanzo di un ricordo” insieme alla sua altrettanto calzante Il mondo si divide, in tal senso dice probabilmente tutto: Noi siamo i figli della borghesia/Affezionati alla bigiotteria/Siamo i tappeti persiani ficcati sotto ai divani/Noi siamo i figli della frenesia/Quello che resta di quegli anni Ottanta/La vetrinetta con l’argenteria/E una racchetta di Panatta/Noi siamo i maghi delle velleità/I figli fuori all’università/Siamo i risparmi chiusi in banca/Siamo una settimana bianca/Noi siamo i figli di una balena/Che ha il cuore piccolo e la bocca grande/Che ha un cuore piccolo/Ed una bocca enorme.

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