Faccia un po’ assonnata uno e super abbronzata l’altro, De Niro e Stallone arrivano a Roma trascinando con loro la stampa europea, essendo l’appuntamento capitolino l’unica tappa di promozione di Il grande match (leggi la nostra recensione) nel vecchio continente. Vuoi per il fuso orario, vuoi anche per l’età (che come sottolineano loro stessi non è esattamente quella di un tempo) Robert De Niro appare un po’ spento e assonnato, chiuso dietro il cappello a coppola verde e la tazza di caffè bollente, mentre Sylvester Stallone sembra più reattivo alle domande dei giornalisti, nonostante il suo tono di voce basso e la sua voce roca e profonda, diano il filo da torcere anche alle esperti interpreti.
Novantatré film De Niro, cinquantotto Stallone, nel curriculum anche due ruoli iconici della cinematografia contemporanea come Jake LaMotta e Rocky Balboa, a distanza di anni salgono di nuovo sul ring, ma questa volta sono uno contro l’altro.
Presente alla conferenza stampa anche il regista del film, Peter Segal, che si è dichiarato emozionato, e anche un po’ terrorizzato, nel dirigere due leggende come Bob e Sly. Due grandi attori che dimostrano di avere un legame che va oltre lo schermo e un buon feeling. Stipati fra la stampa estera c’eravamo anche noi, ecco cosa ci hanno raccontato:
Cinematograficamente parlando, quali sono le sue sfide?
Sylvester Stallone: «Al momento sto provando a realizzare più ruoli drammatici. Ho cercato di cambiare la direzione della mia carriera in questo senso».
Facendo un paragone, Il Grande Match è come un concerto dei Rolling Stones, voi che ne pensate?
SS: «Io andrei a vedere un film del genere. Mi piace molto l’idea di vedere due vecchie glorie, anche se non sono al massimo della forma dopo anni di inattività. È comunque un evento che difficilmente si ripeterà».
Robert De Niro: «Io e Sylvester ci conosciamo da una vita e ci divertiamo a lavorare insieme. Speriamo che la gente apprezzi il nostro lavoro. Conoscevamo bene il tipo di operazione e il sottotesto del film».
Quanto c’è di Toro scatenato e Rocky in questi due personaggi?
SS: «Ce n’è sicuramente. Per quanto mi riguardo lo vedi nei suoi movimenti, come si muove il pugile. Però ovviamente non ha le stesse problematiche di Rocky. Poi io interpreto entrambi quindi la meccanica fisica e la voce profonda sono le stesse!»
RD: «Per alcuni aspetti, principalmente da un punto di vista fisico ricorda Toro Scatenato, alcune cose sono diverse però, ma ci sono ovviamente delle somiglianze».
Perché la boxe sullo schermo funziona più di altri sport?
SS: «Questi film non parlano solo di sport, sono molto di più, raccontano di due persone che si prendono a cazzotti in faccia, ma sono anche una storia d’amore. Metaforicamente poi ricordano la battaglia che uno conduce nella vita, e quando sono realizzati bene è facile per il pubblico capire cosa sta succedendo e quale sia la posta in gioco».
RD: «Credo che sia un genere popolare. Non ho una risposta diversa da quello che ha detto lui. La metafora della battaglia che devi affrontare tutti i giorni, la sfida nella vita, la boxe sotto questo punto di vista ha un che di mitologico».
In che misura siete stati rivali in passato e quanto vi siete trovati cambiati rispetto i tempi di Copland?
SS: «Quanto ero geloso di lui, mi ha rubato tutti i ruoli! (ride). Quando uscì il primo Rocky al cinema accanto c’era Taxi Driver! Non credo che avrei avuto le capacita né la resistenza di fare quello che ha fatto lui, io sono andato in un’altra direzione e ci siamo incontrati a Copland qualche anno fa. Ora è arrivato il momento di recuperare il tempo perduto».
RD: «Ci conosciamo da quando lui faceva Rocky e io New York New York; quindici, sedici anni fa abbiamo fatto Copland insieme ma non siamo mai stati rivali, non l‘ho mai percepita così. Abbiamo molte cose in comune, ci divertiamo quando stiamo insieme, specie quando ci sono anche i Martini… Ad ogni modo quando invecchi ti rendi conto che determinate cose sono meno importanti di quello che pensavi».
Come si trova lavorare con due leggende sul set?
Peter Segal: «È stata una cosa che mi ha intimidito un po’ all’inizio e terrorizzato, perché entrambi hanno anche esperienza in campo di regia. Inoltre ho dovuto dirigerli in un film di boxe! Ad ogni modo mi sono trovato benissimo! Ci siamo organizzati perfettamente. Ad esempio questi due signori non potevano allenarsi sullo stesso ring perché vivono in città differenti, così prima abbiamo provato con uno e poi con l’altro. Era un po’ come Fred e Ginger che si allenavano separatamente cose diverse».
Come guardate al tempo che passa, e come scegliete i nuovi ruoli da interpretare?
SS: «Ci sono determinati vincoli e limitazioni legati all’età. Ovviamente non puoi fare qualcosa che facevi prima! Io cerco di trovare qualcosa con cui posso condividere le mie emozioni e tutte le esperienze della vita. Sicuramente sono un attore migliore di trent’anni fa perché ho più esperienza e cerco di applicarla ai nuovi progetti».
RD: «Mi piace pensare di trovare dei progetti diversi, adesso non ho cose su cui voglio lavorare, aspetto delle proposte e vediamo se ho voglia di realizzarle o meno. Ovviamente non interpreterò ruoli che ho fatto anni fa, anche se con il digitale potrei rifarlo!»
La “vecchiaia” può essere un momento che offre la possibilità di rimediare a quelle occasioni perse in passato?
SS: «Nel momento in cui arrivi a capire com’e la vita, la vita è quasi finita! Hai più saggezza! Purtroppo però è passato il tempo e non la puoi applicare, per questo mi piacciono questi ruoli, per porre rimedio a sbagli commessi anni prima».
Ultimamente il cinema si occupa spesso di questa fascia d’età, la vostra impressione a riguardo?
SS: «Molte persone che frequentano il cinema sono cresciuti con noi e questi sono i problemi complessi che devono affrontare oggi. C’è una gran parte di persone che si sente ancora attiva e ha voglia di andare al cinema, per questo vogliono veder rappresentate le loro storie sul grande schermo».
RD: «C’è sempre più pubblico della nostra età che vuole vedere film che parlino delle loro problematiche».