Il lato positivo, intervista a Bradley Cooper: «La malattia mentale mi spaventava, ora non più»
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Il lato positivo, intervista a Bradley Cooper: «La malattia mentale mi spaventava, ora non più»

Abbiamo incontrato a Roma l’attore, in tour per promuovere il film che gli ha fruttato la nomination all'Oscar. Una chiacchierata davvero speciale

Il lato positivo, intervista a Bradley Cooper: «La malattia mentale mi spaventava, ora non più»

Abbiamo incontrato a Roma l’attore, in tour per promuovere il film che gli ha fruttato la nomination all'Oscar. Una chiacchierata davvero speciale

Quando incontriamo Bradley Cooper indossa i jeans e una felpa con la zip: il sorriso smisurato e gli occhi azzurri fanno a pugni con due occhiaie da jet lag e i capelli scompigliati. Trentotto anni appena compiuti, Bradley sfoggia anche un’umiltà e una cordialità non così comuni tra i suoi colleghi: tra le mani, gira la fede del padre Charles morto due anni fa. È a Roma per presentare Il lato positivo, la dramedy di David O. Russell (The Fighter) che gli ha appena garantito la sua prima nomination all’Oscar. Nel film interpreta Pat, ragazzone dal cuore d’oro reduce dal tradimento della moglie e soprattutto da un terribile esaurimento nervoso che gli ha garantito diverse settimane in una clinica psichiatrica. Tornato a casa con i suoi, tente di rimettere insieme i cocci della vecchia vita, con l’aiuto di un’altra anima in pena, Tiffany (Jennifer Lawrence) e… di una gara di ballo.

Che differenza c’è nel lavorare in una dramedy come Il lato positivo e in una commedia pura come Una Notte da Leoni?
«La vera risposta è che non c’è molta differenza. In realtà l’importante è recitare in modo reale e lasciare che sia la commedia stessa a scaturire da una recitazione realistica. Le circostanze e il personaggio dovrebbero far scaturire di per sé la commedia, e tu puoi solo sperare che, con chiunque tu stia recitando in quel momento, la commedia decida di suonare il jazz con te, perché si basa tutto sulla musica. L’unica ragione per cui siamo stati in grado di creare situazione da commedia in questo film è l’unione della “musica” di Tiffany, e di quella di Pat. Si basa tutto sulla tempistica, sul tempo, sul battito. È tutta matematica e ritmo ma deve anche, ed è questo il trucco della commedia, sembrare organico. Ad esempio in
Una notte da leoni, quando la tigre era nel bagno, non abbiamo detto: «Come facciamo a rendere questa scena divertente?», ma abbiamo recitato seguendo gli istinti dei tre personaggi che io Zach Galifianakis e Ed Helms stavamo interpretando. Stu (Ed Helms, ndr) stava impazzendo per aver perso il dente e non riusciva a focalizzarsi su nient’altro, Alan (Zach Galifianakis, ndr) era spaventato dagli animali, mentre Phil, il mio personaggio, pensava che tutta la situazione fosse molto divertente. L’unione di questi personaggi, insieme a una recitazione realistica, ha fatto si che tutta la scena risultasse divertente. È lo stesso principio alla base de Il lato positivo. In una scena Pat e Tiffany si raccontano a vicenda la lista di medicine che devono prendere per curare le loro depressioni, e paradossalmente questo risulta molto divertente».

Che tipo di sfida ha rappresentato per te girare le scene di ballo, così realistiche, con Jennifer Lawrence?
«Erano molto realistiche perché le abbiamo girate noi! Eravamo noi due. È stato molto gratificante e un’ottima maniera per rendere in maniera “fisica” questi personaggi. Ho imparato molto di Pat sperimentando il suo modo di apprendere il ballo, e quando ho visto il film mi ha veramente spezzato il cuore guardarlo ballare da solo per imparare i passi, era così vulnerabile, anche nel modo di guardare Tiffany per cercare approvazione. Come attore mi ha fatto apprendere molto il veder compiere questo sviluppo al mio personaggio
».

Quando hai letto il copione per la prima volta ti eri già reso conto di che grande sfida rappresentasse il film e di che grande opportunità potesse essere? Vista anche la nomination all’Oscar come miglior attore protagonista.
«Ho visto la sfida, più che l’opportunità. Mi hanno proposto il ruolo, e non so se avrei mai fatto il provino per la parte, anche se è assurdo pensare il contrario visto che sono nato a Philadelphia, sono in parte italiano e in parte irlandese, adoro gli Eagles (
la squadra di football della città, che ha un ruolo importante nelle dinamiche del film, ndr), e quindi sarebbe stato comunque un ruolo perfetto per il quale provare a fare l’audizione! Ma mi bloccava tutta la parte della malattia mentale. Sono davvero grato a David O. Russell per aver avuto fiducia in me e avermi offerto un ruolo così, quando in passato nessuno lo aveva fatto. Sono davvero felice che questo ruolo sia stato riconosciuto come uno dei più difficili dell’anno, significa molto per me soprattutto perché Pat, come personaggio, se lo merita davvero».

In Il lato positivo il disturbo mentale di Pat non viene eccessivamente drammatizzato, viene invece mostrata la ricchezza di questo personaggio: che cosa ne pensi?
«Ho imparato davvero tantissimo da Pat, molto di più di quanto credessi all’inizio, e mi sono reso conto di quanto mi sbagliavo in precedenza nel giudicare questo tipo di situazioni. Ti rendi conto di quanto tutto dipenda dal modo in cui processiamo a livello neurologico le informazioni e le emozioni che scaturiscono da ciò che accade in determinate circostanze, e se non si è in grado di “lasciar correre”, ci si ritrova bloccati e paralizzati. Mi posso relazionare a questo? Certamente! Ci sono delle cose nella vita che non riesci a superare. Grazie a questo punto di vista si riesce a comprendere meglio ciò che è successo a Pat, e forse è questo uno degli aspetti fondamentali del film. Molte persone sono venute da noi dicendo che rivedevano loro stessi in Pat, in questo personaggio che apparentemente può sembrare diverso da noi in quanto bipolare, ma che in realtà non lo è. Forse dovremmo prendere un po’ di tempo per pensare empaticamente a questo aspetto della questione
».

Il tuo personaggio nel film sembra “non apprezzare”, per usare un eufemismo, alcuni classici della letteratura americana. Hai anche tu, come Pat, un libro che lanceresti volentieri dalla finestra?
«Questa è divertente! No, non ho un libro che lancerei volentieri dalla finestra ma adoro il fatto di vedere i classici della letteratura con gli occhi di qualcuno che vuole vedere solo il lato positivo nelle persone, come fa Pat. È un punto di vista interessante. La sua vita è difficile, quindi perché in un momento così dovrebbe leggere un libro come
Il signore delle mosche? Perché devo leggere un libro che racconta di quanto la vita sia difficile se sto già vivendo un momento simile? Vanno in guerra, maledizione! Il protagonista torna dalla guerra e non è felice! Se la mia vita fa schifo perché dovrei leggere di qualcuno che sta ancora peggio di me? O anche Il grande Gatsby… Quel poveraccio affronta una serie infinita di problemi! Ha la casa, la macchina, la ragazza e poi dopo gli sparano, e lui non c’entra niente! Ma dai sul serio! È uno scherzo?! (ride). È molto interessante, mi piace davvero l’idea di questo punto di vista particolare di Pat, anche perché dopo un po’ inizi a capire quanto in realtà abbia senso questo approccio ai grandi classici».

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Foto: Getty Images

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