Il libro della giungla, CGI mai così reale. La recensione dell'adattamento di Jon Favreau
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Il libro della giungla, CGI mai così reale. La recensione dell’adattamento di Jon Favreau

Il regista di Iron Man firma uno spettacolo visivo profondamente immersivo, che esalta le caratteristiche dell'emozionante storia di Mowgli

Il libro della giungla, CGI mai così reale. La recensione dell’adattamento di Jon Favreau

Il regista di Iron Man firma uno spettacolo visivo profondamente immersivo, che esalta le caratteristiche dell'emozionante storia di Mowgli

49 anni dopo il classico d’animazione, Disney torna ad adattare per il grande schermo Il libro della giungla di Rudyard Kipling. E lo fa pescando in casa Marvel, mossa quanto mai azzeccata perché Jon Favreau, il regista dei primi due Iron Man, dimostra non solo una buona conoscenza del materiale di riferimento, ma anche di avere le idee chiare sull’impostazione da dare a questa nuova versione live action: rispetto della tradizione, un tocco personale (e più adulto, con qualche spavento annesso) ed effetti speciali da lasciare a bocca aperta.

Quando si realizza un film costruito su un unico protagonista in carne e ossa – Neel Sethi, il bambino che interpreta Mowgli – circondato da green screen, il rischio è che il distacco tra realtà e mondo in CGI sia percepibile dall’occhio dello spettatore. Pericolo sventato grazie a una fusione perfetta tra le due dimensioni e un’antropomorfizzazione degli animali che li fa interagire con il piccolo protagonista come se fossero attori veri. L’attenzione ai dettagli dei movimenti, alle espressioni e alla percezione di contatto con il “cucciolo d’uomo” è a livelli altissimi, e tutto ha contorni di un’autenticità rara persino per un cinema che regala prodezze visive da anni ormai. Senza contare che ogni abitante della giungla ha la sua caratterizzazione: la pantera Bagheera incarna il coraggio e la saggezza, l’orso Baloo è il simbolo della spensieratezza, la lupa Raksha rappresenta l’indistruttibile senso di protezione di una madre per i suoi figli e la tigre Shere Khan è metafora di prepotenza e cieca vendetta. E Mowgli? È la dimostrazione che la diversità spesso unisce anziché allontanare. Parliamo di personaggi che vivono in un ecosistema dalle leggi ferree, in cui la telecamera di Favreau ci proietta creando un senso d’immersione profondo, forte quasi quanto la stretta delle spire dell’ipnotico Kaa.

Il regista, come detto, ci mette del suo trovando buon equilibrio in un film per tutta la famiglia che alla leggerezza unisce anche momenti di tensione. È un gioco di atmosfere (anche tenebrose) e registri gestito con intelligenza, dovuto all’esperienza di Favreau (come autore e interprete) nella commedia e nell’action: l’ingresso in scena di Baloo – che vive secondo una filosofia in stile Hakuna Matata – alza il livello di humor, Shere Khan è una minaccia costante e la ricerca di un branco (e quindi di una famiglia) da parte di Mowgli fa tenerezza. Nota stonata? Il segmento-musical con protagonista King Louie, il re delle scimmie, che è sì un legame diretto con l’adattamento animato, però un po’ forzato, fuori dal coro stilistico e narrativo di questa versione della storia.

Il sequel è confermato, con Favreau sempre alla regia. La sfida sarà alzare l’asticella di un comparto tecnico ed emotivo già oggi di grande spessore.

 

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