Ispirato alla sua vita ma «con qualche dettaglio cambiato per proteggere la privacy dei miei figli». Ironico, ma «senza scadere nello humor macabro che spesso hanno i malati terminali, e che fa orrore a chi sta loro intorno». Soprattutto, un ritorno a tempo pieno al lavoro televisivo, «anche perché i miei figli volevano che me ne uscissi un po’ di casa». L’ammirazione, il rispetto e anche l’affetto che Michael J. Fox suscita ogni volta che affronta a muso duro la sua malattia non hanno confini. Vi avevamo già segnalato The Michael J. Fox Show (NBC) come una delle nuove serie da tenere d’occhio per la prossima stagione; oggi, Collider pubblica una lunga intervista all’attore, in piena promozione della sua sit-com, nella quale si affrontano con leggerezza ma senza tracce di superficialità temi “scomodi” come il morbo di Parkinson e il modo in cui malattie e disabilità vengono presentate in televisione. Qui sotto vi riportiamo gli stralci più interessanti dell’intervista:
Sul perché Fox ha deciso di ritornare al lavoro: «Mia moglie e i miei figli mi volevano fuori di casa – perché mi vogliono bene e vogliono che io sia felice, non per altro! Nello show parlo anche di loro, anche se ovviamente ho cambiato i nomi per ragioni di privacy. Ma loro riconosceranno tante piccole cose… Non sono stati loro a convincermi a tornare al lavoro. Ero io che volevo farlo: è quel che amo fare e quel che ho fatto per tutta la mia vita. Così mi sono detto: “Perché no?”, e mi sono accorto che non c’era ragione per non farlo. E così è nato lo show».
Sulla scelta di parlare liberamente del Parkinson nella serie: «No, non mi sono consultato con la comunità dei malati di Parkinson, non cerco mai consigli altrui quando mi sento creativo. Ovviamente parlo molto della malattia. Per come la vedo io, a volte è frustrante, ma altre volte è divertente, e voglio che anche gli altri la vedano così. Alla fine abbiamo tutti un peso da portare, abbiamo tutti il nostro Parkinson, e spero che la gente, vedendo come riesco a scherzare su un problema così serio, sia in grado di dire: “Ehi, dovrei imparare a ridere anch’io dei miei problemi”».
Sulla percezione che gli altri hanno della sua malattia: «Quando il Parkinson compare nella serie, è parte integrante della vita della mia famiglia, come nella realtà. La maggior parte delle volte, il problema di avere una disabilità è come gli altri se la immaginano: hanno una proiezione mentale di come dev’essere la tua esperienza e ti trattano secondo quello standard. Quando magari la mia vera esperienza è completamente diversa. Non trovo nulla di orribile nel Parkinson, certo è qualcosa con cui devo fare i conti, ma è la mia vita e alla fine non ci posso fare nulla. E la mia vita è tutto tranne che orribile».
Sulla possibilità di Ritorno al futuro 4: «Sì, certo, io però non sarei più Marty ma Doc! A parte gli scherzi, non ho più l’età per girare una serie di 22 episodi e poi passare l’estate sul set di un film. Non è questione di Parkinson, è che sono vecchio».
Fonte: Collider
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