Salvo (Salvo Ficarra), ladro di oggetti di arte sacra, un giorno sottrae dal presepe della chiesa di padre Valentino (Valentino Picone) un bambinello di grande valore. Scoperto con le mani nel sacco, fugge a perdifiato nella campagna, inseguito dal prete: la corsa dei due finisce miracolosamente nell’anno zero, in cui Salvo e Valentino si ritrovano teletrasportati per caso. Inseguiti dal malvagio sovrano Erode (Massimo Popolizio), sulle tracce di due stranieri in possesso di informazioni precise sull’arrivo del Salvatore, i due finiscono per unirsi ai ribelli Zeloti. Ma le differenze di carattere tra Salvo e Valentino finiranno per pesare, e non poco, sulla storia del Natale…
Ficarra e Picone, alle soglie del 25esimo anniversario del loro sodalizio artistico che cadrà nel 2020 (con annesso tour celebrativo nei teatri di tutta Italia), irrompono per la prima volta nel cinema italiano delle feste natalizie ritagliandosi il tentativo di un fantasy biblico ambientato nella Palestina della nascita di Gesù. Un pretesto narrativo che il fa il paio con la florida tradizione dei viaggi nel tempo, già esplorata in passato da molti comici di successo, anche nostrani. Non si può per esempio non pensare, in prima battuta, a Non ci resta che piangere di Troisi e Benigni, rispetto al quale Il primo Natale non può che porsi in qualità di emulatore diretto.
Quello di Ficarra e Picone è però, prima di tutto, un film totalmente inscrivibile nei codici espressivi della fortunata coppia palermitana, capace negli ultimi anni di passare in scioltezza dal bancone televisivo di Striscia La Notizia al grande schermo, mantenendo intatta la propria presa sul pubblico. Gli ingredienti intorno ai quali i due fanno ruotare da sempre il loro umorismo sopravvivono inalterati anche stavolta, a cominciare da quell’archetipico gioco degli opposti che li contraddistingue fin dai loro esordi e ne ha segnato la parabola (in questo caso evangelica).
Ad apparire più stanco del solito, tuttavia, è proprio il combustibile sprigionato dalle loro schermaglie, che fanno riferimento in modo pressoché esclusivo alla contrapposizione tra l’arraffone Salvo e il bonario Valentino. In questo caso, oltretutto, sono nemici in partenza e destinati a muoversi su binari paralleli, sfiorandosi idealmente e con una dose moderata di scintille. La confezione visiva che gli autori de Il 7 e l’8 e Andiamo a quel paese hanno messo in piedi per rendere plausibile la sfida di un kolossal ridanciano e in costume sulla Natività, dal canto suo, appare al contrario decisamente più calzante e legittimata, spingendo sulla magia dell’effetto presepe vivente e mescolandola alla tombola, ai cannoli, alle battute su una fantomatica autostrada “Gerusalemme – Reggio Calabria”, alle riflessioni teologiche proposte tra il serio e il faceto.
L’apporto fornito da scenografie e abiti depone infatti a loro favore, senza dimenticare il contributo della direzione della fotografia di Daniele Ciprì, e appaiono azzeccati non solo i fondali in cui si collocano le loro peripezie proto-natalizie ma anche i volti designati per accompagnarli, dalla Rebecca di Roberta Mattei all’Erode incarnato da un suadente, mefistofelico e autoironico Massimo Popolizio. Passando per i non pochi caratteristi di contorno che dall’immaginario di facce siciliane care a Ficarra e Picone (come ad esempio Mauro Spitaleri, già presenza ricorrente del cinema di Ciprì e Maresco) transitano, senza perdere di credibilità, in un contesto a loro alieno ma dal sapore altrettanto primitivo e arcaico.
Il risultato è un film di Natale per famiglie esile nel canovaccio ma scaltro e ruspante nel tenere alta l’asticella dell’avventura e della sarabanda degli equivoci (basti pensare all’esilarante sketch della falsa identificazione di Maria e Giuseppe in viaggio verso Betlemme), che nondimeno non esclude delle stoccate puramente politiche, minime ma inconfutabili: una dimensione, quella della satira sull’attualità, di cui Ficarra e Picone, in scia a quanto capitalizzato da Checco Zalone, si sono ormai appropriati a piene mani e che qui ripropongono in maniera tutt’altro che velata.
Al fine di evitare rivelazioni e rovinare sorprese, su quest’ultimo aspetto non si può davvero dire molto di più in questa sede, se non che il riferirsi al mantra “Roma ladrona” non è naturalmente affatto casuale, ma è sicuramente interessante registrare che il lascito del loro ultimo film, L’ora legale (anch’esso sceneggiato insieme al consolidato e prolifico sodale Nicola Guaglianone, sempre più avvezzo a ibridare generi e forme, e a Fabrizio Testini) non è andato perduto e si è provveduto anzi a farne inequivocabilmente e prontamente tesoro.
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