Il principe cerca figlio, la recensione del sequel con Eddie Murphy
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Il principe cerca figlio, la recensione del sequel con Eddie Murphy

Craig Brewer dirige il sequel del celebre cult di John Landis Il principe cerca moglie, ben 33 anni dopo l’uscita della commedia originale divenuta cult

Il principe cerca figlio, la recensione del sequel con Eddie Murphy

Craig Brewer dirige il sequel del celebre cult di John Landis Il principe cerca moglie, ben 33 anni dopo l’uscita della commedia originale divenuta cult

Il principe cerca figlio
PANORAMICA
Regia (2)
Interpretazioni (2)
Sceneggiatura (1.5)
Fotografia (1.5)
Montaggio (1.5)
Colonna sonora (1.5)

Nel regno di Zamunda cresce la preoccupazione per la salute del re Jaffe Joffer. Sapendo che il principe Akeem (Eddie Murphy) ha avuto solo figlie e non ha quindi legittimi eredi al trono, il generale Izzi della nazione rivale Nexdoria lo insidia, alternando proposte di matrimoni di interesse tra le rispettive famiglie a minacce belliche. Ma il veggente Baba rivela ad Akeem che a New York, nel Queens, vive Lavelle Junson (Jermaine Fowler), suo figlio maschio illegittimo, del tutto ignaro del proprio lignaggio reale.

33 anni dopo l’uscita nelle sale de Il principe cerca moglie, commedia che contribuì a consacrare ulteriormente Eddie Murphy come sommo corpo comico del cinema di John Landis al finire degli anni ‘80,  è arrivato su Amazon Prime Video Il principe cerca figlio, lo stanchissimo sequel diretto da Craig Brewer (già dietro la macchina da presa per Murphy nel precedente Dolemite is My Name). Un’operazione che fallisce senz’altro il proposito di richiamare alla memoria degli spettatori l’originale del 1988: la devozione ottusa, ma fuori tempo massimo, estingue infatti ogni slancio, smarrendosi precocemente nelle maglie strettissime della reunion compagnona. 

Praticamente tutto il cast e un po’ del team di scrittura sono tornati a bordo, chiamati a raccolta dalla missione della rispolverata nostalgica e del ribaltamento di facciata dello spunto di partenza: non più le sorti di un nobile immerso nel contesto popolare di New York, come nel capostipite, ma un ragazzo qualunque di città, spinto a forza in un contesto aristocratico (siamo in Africa, adesso, non più nel Queens). Un segno dei tempi, ma al ribasso: rispetto agli slanci solari ed eversivi di Landis, che nella verticalità repentina di certi crolli sociali trovava la miccia di ingranaggi comici al contempo popolari e politici (a pensarci oggi, più che cinema fantastico, è pura fantascienza), Il principe cerca figlio sceglie la via esclusiva del ringiovanimento obbligato, squillante per partito preso e dunque doppiamente triste.

Basta guardare in azione Murphy e Arsenio Hall, che si disinnescano sempre a vicenda, e pure un personaggio potenzialmente dinamitardo come quello di Wesley Snipes ne esce sempre ridimensionato, come tutto il resto in un concentrato di tenerezza e mestizia. La confusione più grave è però quella tra esecuzione delle battute e bersagli scelti: un parametro che in Landis era sempre chiarissimo (erano anche altri tempi), e che non a caso ha generato prototipi sempreverdi di macchinazione cinematografica applicata tanto al caos quanto al ridicolo. Il principe cerca figlio invece preferisce dirsi – da solo, in una battuta esplicita – che il cinema di oggi è solo supereroi (anche se il Wakanda di Black Panther non ci sarebbe probabilmente stato senza Zamunda), remake e sequel di vecchi film, ma dimentica un’altra categoria primaria (la sua), che getta quest’autoironia sotto una luce sinistra: i sequel di vecchi film che sono praticamente remake posticci e sotto falsi steroidi degli originali, nati vecchi ancor prima di vedere la luce.

Foto: MovieStillsDB

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