Il racconto dei racconti, ecco le fiabe perturbanti di Garrone. La recensione
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Il racconto dei racconti, ecco le fiabe perturbanti di Garrone. La recensione

Un fantasy molto distante dal cinema e dalle serie tv a cui siamo abituati

Il racconto dei racconti, ecco le fiabe perturbanti di Garrone. La recensione

Un fantasy molto distante dal cinema e dalle serie tv a cui siamo abituati

Tre Re, tre racconti. Il primo dona alla moglie il cuore di un drago marino, affinché resti – per incantesimo – incinta. Il secondo alleva una pulce, facendola crescere fino a trasformarla in un mostro. Il terzo si innamora di una donna anziana, scambiandola per una ragazzina. Ogni storia ne origina altre, ogni esito ha una più di una morale.

Premessa. Il cinema ha chiuso un cerchio, le infinite possibilità del digitale e l’abbassamento progressivo dei costi della computer grafica ci hanno riportati in pratica ai tempi di Melies, addirittura alla lanterna magica: i produttori vendono quasi soltanto stupore. Il cinema industriale oggi è tutto fantasy, nel senso che in ciò che vediamo c’è sempre una quota di irrealtà grafica e narrativa, senza considerare che il 90% dei franchise delle Major – dai supereroi ai maghetti, fino alle distopie young adult – è Fantasy anche in senso più stretto, in gergo cinefilo.

Il racconto dei racconti di Matteo Garrone è un fantasy primitivo, in pratica pre-moderno, perché prova a riportare il racconto fiabesco alle sue ragioni storiche, che sono in parte la la costruzione di un’allegoria e in parte la meraviglia originata dal diverso. Diverso per contrasto, e infatti si sprecano gli accostamenti tra opposti – meraviglioso e orrido, vecchio e giovane, puro e impuro, buono e cattivo -; e diverso per origine, con le creature di fantasia – come pulci giganti, pipistrelli carnivori e draghi marini – che sono amorevolmente centellinate e messe in scena con ottimo senso della suspense.
Dovrebbero essere elementi portanti di qualsiasi narrazione e invece il paradosso del cinema contemporaneo, o post-postmoderno, è proprio che sembra essersi compiuto uno svuotamento, come se ormai la meraviglia potesse essere frutto solo di situazioni dinamiche (urti, esplosioni, spostamenti frenetici, colpi di scena e di spada) e le metafore dovessero essere tutte politicamente funzionali e prive di rimandi alla morte.

Il racconto dei racconti fa quindi pensare più alla buona letteratura per ragazzi e al Circo (che non a caso torna continuamente nel film, e che ha pure un ruolo fondamentale nell’ultimo tratto di storia) che non al cinema pop a cui siamo abituati, per di più con un piacere del dettaglio perturbante (a tratti proprio horror) e un’estetica barocca, che facilmente sconcerteranno una parte degli spettatori. Per non parlare dei ritmi dilatati, che richiedono pazienza e curiosità a cui il pubblico delle multisale non è più abituato.
Non è insomma roba semplicissima da affrontare, ma se ci sforziamo per i racconti ecologici di Miyazaki non vedo perché non farlo per le fiabe di Garrone: varcata la soglia, c’è letteralmente un mondo che aspetta.

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