«Uno, due, tre… l’uomo nero vien per te»: così recitava la nenia infantile dei bambini di Elm Street, che durante l’ora di ricreazione venivano fatti a pezzi dal guanto artigliato di Freddy Krueger, il bidello della scuola di Springwood. I genitori non l’hanno presa bene e invece di correre dalla polizia si sono fatti giustizia da soli, dandogli fuoco nel locale caldaie dove commetteva le sue atrocità. Ma Freddy è tornato, tante e tante volte, e sempre di notte come un vero boogeyman, attraverso gli incubi dei sopravvissuti, reclamando un “doveroso” tributo di sangue. Questo succedeva 26 anni fa nel primo Nightmare e succede ancora oggi. L’idea intorno alla quale il regista e sceneggiatore, Wes Craven, ha costruito il successo di una delle saghe horror più importanti degli anni Ottanta è molto semplice. La paura di dormire. Paura di quel momento magico, sospeso tra sogno in realtà, in cui ci si trova indifesi di fronte al pericolo. Un po’ la stessa leva su cui ha fatto forza anche un altro campione di incassi dell’ultima ora, Paranormal Activity. La paura di dormire e la paura di sognare. Perché chi muore nell’incubo, muore anche nella realtà. Oggi come allora. A riportare in vita Freddy Krueger ci ha pensato il solito Michael Bay, nuovo magnate dell’industria hollywoodiana (suoi i vari Transformers, The Island, Pearl Harbor), che ha trovato nella moda dei rifacimenti dei classici della paura, un inesauribile giacimento d’oro. E così dopo il Faccia di Pelle di Non aprite quella porta e il maniaco dalla maschera da hockey di Venerdì 13, è toccato pure al babau dal viso ustionato tornare a commettere nuove mattanze su grande schermo (accadrà il prossimo 3 settembre).
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