Il samurai e il leone, Roberto Recchioni analizza una scena di La sfida del samurai
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Il samurai e il leone, Roberto Recchioni analizza una scena di La sfida del samurai

Tra western americano e teatro kabuki giapponese, al capolavoro di Akira Kurosawa che ispirò Per un pugno di dollari basta poco per raccontare tutto quello che serve, come accade in questa geniale sequenza

Il samurai e il leone, Roberto Recchioni analizza una scena di La sfida del samurai

Tra western americano e teatro kabuki giapponese, al capolavoro di Akira Kurosawa che ispirò Per un pugno di dollari basta poco per raccontare tutto quello che serve, come accade in questa geniale sequenza

Rispetto ai suoi film precedenti, Yojimbo (La sfida del samurai per il mercato italiano) è un’opera su formato ridotto per Akira Kurosawa. Nel 1961, infatti, il maestro giapponese aveva già portato sullo schermo alcuni dei suoi maggiori capolavori come Rashomon, I sette samurai, Il trono di sangue e La fortezza nascosta ed era conosciuto a livello planetario come “il John Ford giapponese” per l’ampiezza del suo sguardo e l’epica della sua narrazione.

Eppure, innamoratosi delle atmosfere hard boiled, sanguinarie eppure ironiche, dello scrittore Dashiel Hammett (e di due romanzi in particolare: La chiave di vetro e Piombo e sangue, stampato da noi anche con il titolo originale di Red Harvest o Raccolto rosso), Kurosawa decide di declinarle in chiave “chambara”, quelle pellicole incentrate sui duelli di spada tra samurai che, per il popolo del Sol Levante, sono il corrispettivo delle pellicole western per gli americani.

Ne esce fuori una pellicola straordinaria in cui la regia di Kurosawa, questa volta particolarmente essenziale e stilizzata, mescola il western con il neorealismo, la commedia con il melodramma, il teatro kabuki con il musical americano, la satira con la tragedia. E poi, naturalmente, la violenza. Tanta violenza. Il film è un successo di pubblico enorme in madrepatria e vince premi della critica in giro per il mondo. Anche in Italia, dove viene particolarmente apprezzato da un giovane regista romano alla ricerca di un’idea buona e dai costi produttivi ridotti, per poterne cavare una pellicola da girare nel deserto spagnolo per poi spacciarla come un western americano. Il regista, ovviamente, è Sergio Leone che, senza farsi tanti scrupoli, plagia Yojimbo e realizza il suo Per un pugno di dollari.

Inaspettatamente per tutti (Leone e i suoi produttori in primis) il film diventa un successo planetario. Kurosawa se ne accorge, gli fa causa, la stravince, e Leone è costretto a cedere al regista giapponese un’ampia percentuale sugli incassi del suo film, oltre che una parte dei diritti. Del resto, c’è poco da stare a discutere: per quanto Per un pugno di dollari sia uno straordinario remake del film di Kurosawa, di null’altro che di un remake si tratta, e nemmeno troppo fantasioso. Leone ricalca tutto: l’impianto generale della storia, la sceneggiatura, gli snodi, i personaggi, abbondanti porzioni di dialoghi e non contento, anche la maggior parte delle soluzioni registiche. Sia chiaro, ci mette anche del suo, restando molto più stretto di Kurosawa sui personaggi, dilatando il ritmo fino all’eccesso, caricando il tutto di un tono ancora più grottesco e iperviolento, ma il debito è, a dir poco, evidente.

Solo una scena del film originale giapponese viene largamente tradita e non è difficile capirne il perché. Si tratta del momento in cui il samurai senza nome (ma, se volete, potete chiamarlo Sanjuro) interpretato da Mifune, entra nella locanda del padrone e questi, servendogli da mangiare, gli spiega la complicata situazione del Paese. È, grossomodo, al dodicesimo minuto del film. È un momento delicato della storia perché ci sono molte informazioni chiave da passare e bisogna farlo in maniera chiara, senza annoiare lo spettatore. Si tratta però di una scena ambientata in una angusta locanda, con due personaggi praticamente seduti (1).

Non è semplice. Per risolvere il problema, Kurosawa ha un’idea geniale e decide di sfruttare i pannelli mobili in legno che compongono le pareti del locale. Ogni volta che il padrone descrive un punto cardinale narrativo della storia, dischiude uno dei pannelli, permettendoci di spaziare con lo sguardo (2).

In questa maniera lo spettatore (assieme al personaggio protagonista) non solo ha modo di avere una rappresentazione visiva di quanto gli viene raccontato ma scopre anche la sua posizione nello spazio filmico. Poi il padrone richiude la finestrella e passa al punto successivo. E la cosa si ripete (3).

È un momento di scrittura e regia straordinario che permette a Kurosawa di far confluire la sua esperienza teatrale nella sua arte cinematografica e che ci mostra l’enorme consapevolezza del regista e il suo totale controllo sulla narrazione per immagini.

Leone, d’altro canto, non ha quel tipo di approccio e, di sicuro, non dispone nemmeno dei mezzi di Kurosawa per disporre lo spazio alla maniera che più gli aggrada. Così, nella scena analoga di Per un pugno di dollari (minuto dieci), risolve la faccenda in maniera molto più didascalica: lo straniero senza nome imbocca le scale ed esce in balcone (4)…

…seguito dal proprietario della locanda che gli mostra le roccaforti delle due famiglie in lotta, convenientemente disposte una di fronte all’altra nella strada principale del paese (5).

La soluzione del regista romano è pragmatica e strettamente funzionale alla narrazione e non c’è molto che gli si possa obiettare, se non un certo didascalismo. Quella di Kurosawa però, è genio. E quando l’uomo con il fucile incontra il genio…

La sfida del samurai

  • Regia: Akira Kurosawa
  • Distribuzione: A&R Productions
  • Formato: Dvd

Foto:

© Kurosawa Production Co./Toho Company

© Jolly Film/Costantin Films/Ocean Films

© Erica Fava

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