I film della trilogia tratta da Tolkien si distinguono per un uso sapiente dell’illuminazione, elemento che ha contribuito a rendere l’esperienza visiva chiara e coinvolgente. Nei contenuti speciali del DVD Il ritorno del re, l’attore Sean Astin ha raccontato un aneddoto riguardo alla scena in cui Sam salva Frodo dalla Torre di Cirith Ungol. Notando che l’ambiente era sorprendentemente ben illuminato nonostante fosse un luogo oscuro e angusto, chiese al direttore della fotografia Andrew Lesnie da dove provenisse la luce. La risposta, ironica ma rivelatrice, fu: Dallo stesso posto da cui viene la musica. In altre parole, la luce non aveva una fonte realistica, ma era pensata per migliorare la visione della scena. Questo principio ha guidato l’intera trilogia: anche le ambientazioni più cupe, come le miniere di Moria o Mordor, erano sempre illuminate in modo da mantenere leggibili i dettagli e preservare l’impatto emotivo delle sequenze.
Negli ultimi anni, al contrario, il trend più diffuso sembra quello di rendere le scene eccessivamente buie, con conseguente fatica degli spettatori nel seguire l’zione. Un esempio emblematico è l’episodio La lunga notte di Game of Thrones (2019), ambientato nella battaglia di Winterfell. Sebbene la sequenza fosse pensata come uno scontro epico contro il Re della Notte, molti spettatori hanno lamentato l’oscurità eccessiva, che rendeva difficile distinguere i personaggi e gli eventi. Anche altre produzioni recenti, come Gli Anelli del potere, hanno costretto gli spettatori ad aumentare la luminosità dei propri schermi per distinguere meglio le immagini.
L’illuminazione nei film di Jackson non serve meramente a rendere visibile ciò che accade sulla scena, ma contribuisce a definirne l’atmosfera intera. Il compleanno di Bilbo nella Contea, ad esempio, è avvolto da una luce calda e dorata, mentre le miniere di Moria sono dominate dal freddo bagliore dello staff di Gandalf. La Battaglia del Fosso di Helm, pur essendo ambientata nel cuore della notte e sotto la pioggia, è illuminata da tonalità bluastre che ne enfatizzano il freddo e l’umidità, senza mai sacrificare la leggibilità delle scene. Al contrario, l’esercito di Uruk-hai è mostrato chiaramente, per sottolinearne la minaccia concreta e tangibile.
D’altra parte, l’eccessiva “oscurità” delle produzioni moderne è spesso il risultato di scelte pratiche e di convenienza. Ridurre l’illuminazione permette di risparmiare sui costi di produzione, facilita l’uso di effetti digitali e nasconde eventuali imperfezioni della CGI. Inoltre, la compressione dei video sulle piattaforme streaming peggiora ulteriormente la visibilità delle scene scure, rendendo le immagini confuse e poco definite. Questo fenomeno riflette un problema più ampio: la crescente dipendenza da effetti digitali di qualità altalenante.
Senza alcun dubbio, la trilogia di Il Signore degli Anelli è stata realizzata con una cura straordinaria per ogni dettaglio. Grazie all’uso combinato di effetti pratici e digitali ben calibrati, Jackson ha saputo valorizzare il lavoro degli scenografi, degli attori e degli artigiani di Wētā Workshop, che hanno dedicato anni alla creazione di armature, costumi e oggetti di scena. Un’illuminazione studiata nei minimi particolari ha permesso di apprezzare appieno il loro lavoro, evitando che finisse – letteralmente – nell’oscurità. Scene come la morte di Haldir al Fosso di Helm dimostrano quanto fosse efficace questo approccio: senza bisogno di parole, la sua espressione illuminata ha comunicato tutto il peso emotivo del momento.
Sebbene sia difficile che un’altra trilogia possa eguagliare il livello di attenzione e maestria de Il Signore degli Anelli, le produzioni moderne potrebbero trarre insegnamento dal suo uso intelligente della luce, restituendo ai film un’esperienza visiva più chiara e coinvolgente. Siete d’accordo? Fatecelo sapere nei commenti!
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Fonte: CBR