Se c’è un gioco che intrattiene i fan e i devoti de Il Trono di Spade – la serie HBO ispirata al ciclo letterario Game of Thrones creato da George R. R. Martin – è chiedersi quale sia l’episodio più traumatico in assoluto e, volendo, in base a quale combinazione dei più diversi elementi drammatici, fuori dalla verità storica eppure così straordinariamente densi di riferimenti alla Storia medioevale moderna e contemporanea dell’umanità. Le prime generazioni di lettori della saga firmata dallo scrittore nato nel 1948 a Bayonne, nel New Jersey, hanno avuto indubbiamente vita dura, già che un numero imprecisato di linee narrative quasi certamente da Martin non saranno mai chiuse.
Ormai, nel 2025 è quasi ovvio affermare che gli spettatori dello show – nonostante eventuali delusioni e perfino l’esistenza di una vera e propria petizione su scala internazionale per obbligare il network a riscrivere e rigirare la stagione e l’episodio finali – attraverso i settantatre episodi e le otto season della serie principale, senza contare gli spin-off, hanno vissuto un rollercoaster che, allo stato attuale dei fatti, anche quando devia e supera gli originali letterari, viene percorso, ripercorso o scoperto ex novo tutti i giorni nei più disparati luoghi del mondo, coinvolgendo continuamente nuovi adepti, in modo assolutamente trasversale rispetto al genere e le generazioni di appartenenza.
Più oltre, il passaparola in Italia tra il 2011 e il 2019 conteneva un dettaglio non privo di eccezionalità: la serie era suggerita anche a chi non si considerava appassionato, né particolarmente incline al Fantasy. E mentre qualcuno superava credenze e pregiudizi, continuava a crescere esponenzialmente il successo di uno dei più grandi show dell’era contemporanea: un autentico un cult, un evergreen e un nuovo instant classic, sempre controverso e sempre ineccepibile, capace di scatenare anche feroci o bellissime discussioni. Il Sangue è a vario titolo uno degli elementi cardine de Il Trono di Spade: inteso come legami di famiglia, casate, dagli Stark ai Lannister e i Targaryen ritorno. E così bloody saranno anche le questioni legate alla discendenza o l’ascesa ai differenti troni, le guerre che si susseguono dai giorni ai decenni ai secoli, tra attacchi e rappresaglie, reazioni e piccoli o grandi momenti di liberazione, coinvolgendo ogni singolo componente dei Sette Regni, ineluttabilmente destinato a dividersi nelle guerre per quell’unico, singolo grande Trono conservato a Castel Granito, salvo riunirsi nella guerra generale contro i non-morti oltre la Barriera, comandati dal Re della Notte.
Attenzione! Il seguito contiene spoiler sulla serie Il Trono di Spade
“I walked in glee while your Queens and Kings / fought for ten decades / for the Gods they made” (“Ho camminato in allegria mentre le vostre Regine e i Re / combatterono dieci decadi / in nome degli Dei che hanno creato”) canta Mick Jagger in Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. E se qui, in questa grande storia, paradossalmente non c’è traccia del Diavolo, almeno per come lo intendiamo in Occidente – in forma di Belzebù, Xabaras, Satana o satanassi di più basso rango – fatalmente la domanda ricorrente tra i fan è sempre la stessa. Qual è il momento più cruento e sconvolgente di Game of Thrones? E perché non Le Nozze Rosse? Se in molte lingue, italiano e inglese compreso, un vecchio detto recita allo stesso modo”il diavolo è nei dettagli”, nelle otto stagioni de Il Trono di Spade è davvero interessante indagare la percezione individuale e collettiva di cosa sia la violenza, la sopraffazione, quanto siano disgustose e al contempo sagaci le tessiture di complotti e tradimenti, e quanto queste diverse sequenze e scene siano caratterizziate da un climax che porta sempre gli spettatori a uno stato di forte di sorpresa, incanto e sconvolgimento.
L’episodio intitolato Red Wedding, anche a livello audiovisivo e strettamente formale non può che dirsi un esperimento caravaggesco di bellezza conturbante. Eppure, in termini di Banalità del Male – definizione creata da Hannah Arendt e analizzata nel suo saggio omonimo del 1963 ed evocato spessissimo nelle recensioni del film premio Oscar La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer – noi vogliamo segnalare tra i più sconvolgenti episodi de Il Trono di Spade il numero cinque della quarta stagione, intitolato in originale First of His Name, in italiano L’ultima notte dei ribelli. Anche in questo caso, i dettagli contano e il senso dei due titoli è abbastanza diverso. L’originale britannico suggerisce che il protagonista assoluto della puntata e dell’arco narrativo sia Brandon Stark, Bran, figlio di Catelyn Tully e Ned, pronipote del capostipite della casata, Bran Il Costruttore. Sappiamo già che il bambino è stato tragicamente scaraventato con un gesto sprezzante dall’alto della finestrella di una torre da Jaime Lannister, dopo averlo sorpreso in intimità con sua sorella e amante Cersei. Da questo punto in poi il penultimo figlio più piccolo degli Stark, un bambino che sopravvive ma non può più camminare, diventa Bran Lo Spezzato, Bran The Broken. E chi è già arrivato alla fine delle otto stagioni sa anche che sarà lui a diventare il nuovo Il Corvo con Tre Occhi, massimo leader spirituale e misterico dei Sette Regni, in grado di muoversi fisicamente tra passato presente e futuro. Infine, sarà sempre lui il Re eletto de Il Trono di Spade: Lord dei Sei Regni e Protettore del Reame.
Da questo punto di vista, l’episodio cinque della quarta stagione segna un punto di svolta determinante. Se Bran è destinato a diventare il Primo del suo Nome, deve passare prima attraverso una lenta e dolorosa mutazione nel nuovo Three Eyed Raven. E questo momento passa attraverso la cattura, le angherie e le terrificanti minacce di una banda di ondivaghi, mercenari e disertori dei Guardiani della Notte. Traditori di qualunque giuramento, ridotti allo stadio di fiere che infieriscono per diletto su chiunque abbiano sequestrato, riescono contemporaneamente a trattenere Bran e i suoi compagni di avventura dalle Foreste magiche. Nel luogo che hanno occupato, saccheggiato e che ora usano come rifugio i disertori tengono in ostaggio Craster, Bran, Hodor, Meera e Jojen. Karl, lo spietato leader di questa banda di criminali senza legge né regole si appresta a violentare Meera insieme ai suoi uomini. Jojen riesce a interrompere questo macabro programma dicendogli di averlo visto morire in una visione e di aver già visto il suo cadavere bruciare prima che termini la notte. La sola idea di poter assistere alla violenza su una ragazza tanto giovane ci aveva atterrito.
Ma i mercenari al soldo di Karl sono oltre la più tetra, oscura ed efferata immaginazione, già che li vediamo bere mangiare e gozzovigliare circondati dalle donne che considerano solo volgari prostitute. Il comando di Karl risuona come una di quelle battute de Il Trono di Spade che non si potranno mai dimenticare: “sc****** a morte”. I sottoposti eseguono, e anche se in puro stile Tragedia Greca l’orrore accade fuori scena, in questo bivacco alcuni scorci sui corpi, i volti tumefatti di queste donne, e soprattutto il suono dei loro lamenti configurano una scena che in termini audiovisivi passa direttamente al mito del Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud. Sarà un’anziana, la più saggia di loro a portare quindi nel bel mezzo della scena poi un neonato appena nato. E se pure arriveremo a temere che Karl possa prenderlo e pugnalarlo senza provare assolutamente nulla, con le sue astute parole la donna lo induce a organizzare piuttosto un sacrificio per gli Dei. E finché la stupidità e l’arroganza di Karl e la sua banda di disertori li porta a cadere nell’inganno, sappiamo che il neonato, tutte quelle donne e anche Bran e i suoi amici, finiranno per salvarsi, proseguire con i loro differenti viaggi dopo la fine di questo terrificante incubo in differenti direzioni.
Tutto molto intenso e tragico, ultraviolento, eppure infine, dopo molti set-up e pay-off, finalmente catartico. Non credete? Diteci la vostra, come sempre, nei commenti.
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