Il Trono di Spade, pro e contro di Home. I voti in anteprima dell’episodio 6x2
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Il Trono di Spade, pro e contro di Home. I voti in anteprima dell’episodio 6×2

Perché nessun posto è come casa. Nemmeno a Westeros

Il Trono di Spade, pro e contro di Home. I voti in anteprima dell’episodio 6×2

Perché nessun posto è come casa. Nemmeno a Westeros

Il successo del Trono di Spade dipende in gran parte da un patto tra la serie e gli spettatori. Quel patto, stipulato con la decapitazione di Ned Stark, dice che a morire saranno buoni e cattivi, e che i morti rimarranno morti (e non tiratemi fuori il motto dei Greyjoy, per favore). È una regola che affascina tanto perché è la stessa regola della vita vera. C’è davvero un brivido nell’affrontare queste storie e nel non avere garanzie che le cose andranno come sperato. Ed è in qualche modo un atto di fede condiviso quello di proseguire comunque, nella speranza che prima o poi esisterà una forma di giustizia condivisa, che qualcuno a Westeros sistemerà tutti i conti.

Per questo non esiste tradimento più grande dello spirito della serie del modo in cui, grazie al trattamento Jean Louis David di Melisandre (“Le do una spuntatina sul collo e le sistemo un po’ la barba, dottore”), Jon Snow torna in vita. Tutto troppo facile, tutto troppo scontato.
Davvero sarebbero bastati un po’ di fuoco e una sacerdotessa che conosce l’alfabeto farfallino per rimettere in piedi i nostri cari defunti, da Ned in poi?
La scena che chiude la puntata è quindi il tradimento di quella regola che, anche in un fantasy, agganciava il Trono alla vita: le persone che amiamo muoiono, e non c’è modo di riportarle indietro. Da adesso in poi, avremo sempre il dubbio.
Voto alla resurrezione farlocca di Jon Snow: 2.
E ora sbranatemi, come farebbe Ramsay…

Ramsay!
Ecco che mi torna il buon umore.
Ramsey che onora il padre e la madre, e il fratello neonato, e soprattutto i suoi cani. Ho la sensazione che non gli resti più quasi nessuno da ammazzare a Grande Inverno, il che lo costringerà a farsi presto nuovi amici. Se a Westeros fossero stati tutti risoluti come lui, Il Trono di Spade sarebbe finito in 15 episodi.
E comunque è un fatto assodato che per i fratelli maggiori, i fratelli minori siano quasi sempre una rottura di palle (“Voglio i suoi fumetti! Voglio giocare con la Playstation! Voglio i suoi castelli del Nord!”) quindi ora non buttategli la croce addosso se ha messo le mani avanti.
Voto al talento di Ramsay per l’addestramento dei mastini: 9.

Un altro fatto degno di nota della puntata è che Hodor una volta aveva un vocabolario che andava oltre “Hodor”. Poi deve essergli successo qualcosa, e addio. Ora, per saperlo, tocca aspettare che Bran torni di nuovo indietro nel tempo, il che almeno dà un senso al personaggio.
A proposito: Bran è un diminutivo! Si chiama Brandon! Non ne avevo idea, anche se voi lettori saputelli ora mi direte che in qualche oscuro fill-in della seconda stagione, durante una grigliata in mezzo ai boschi, qualcuno lo chiamava così sotto gli effetti dell’ammazzacaffè.
Voto alla trovata “Come avrà perso l’uso del vocabolario Hodor?” per creare suspense nel segmento Bran: 5. Sento rumore di barili che vengono grattati.

Grandi soddisfazioni sul versante Arya, ancora in piena fase Fight Club, dove la prima regola del Fight Club è dire che “Questa ragazza non è nessuno”, e la seconda regola del Fight Club è dire che “Questa ragazza non è nessuno”, e la terza regola anche.
Lei finalmente se ne ricorda (non era così difficile, dai), e quindi anche se non ha ancora imparato a combattere senza vedere come Rutger Hauer in Furia Cieca o Charlie Cox in Daredevil, la riportano nel tempio e soprattutto la smettono di prenderla a bastonate in faccia.
Voto all’intuito di Arya per i giochetti di Jaqen: 6 di incoraggiamento.

Gli autori devono smetterla di obbligare Tyrion a dire spiritosaggini ogni volta che apre bocca, perché la linea che separa l’arguzia dall’idiozia si fa sempre più sottile…

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