Indiana Jones e il quadrante del destino a Cannes 2023: la recensione del film con Harrison Ford
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Indiana Jones e il quadrante del destino a Cannes 2023: la recensione del film con Harrison Ford

Al Festival è la volta del quinto capitolo della saga con Harrison Ford, diretto da James Mangold e interpretato, oltre che dallo storico protagonista, anche da nomi come Phoebe Waller-Bridge e Mads Mikkelsen

Indiana Jones e il quadrante del destino a Cannes 2023: la recensione del film con Harrison Ford

Al Festival è la volta del quinto capitolo della saga con Harrison Ford, diretto da James Mangold e interpretato, oltre che dallo storico protagonista, anche da nomi come Phoebe Waller-Bridge e Mads Mikkelsen

Indiana Jones e il quadrante del destino

Esiste oggi un governo del blockbuster occidentale che prescinde dalla casa di produzione, dal soggetto, dalle ambizioni dell’autore. A questo governo non si sottrae nessuno, nemmeno Indiana Jones.

La quinta (e ultima?) avventura dell’archeologo interpretato da Harrison Ford è dunque prevedibilmente segmentata in set pieces ambientati in location via via più “esotiche” (da New York a Marrakesh, dalla costa greca ad Agrigento e Siracusa) come un qualsiasi Mission: Impossible o Fast & Furious: lunghe scene d’azione cucite dall’inseguimento a un MacGuffin che in questo caso è il misterioso quadrante del titolo, uno strumento di misurazione creato da Archimede e che, qualcuno crede, potrebbe addirittura permettere il viaggio nel tempo. Ad ogni tappa gli eroi arrivano prima e pochi istanti dopo sono raggiunti dai cattivi.

Le parentesi action extralarge che ne seguono alzano naturalmente l’asticella della spettacolarità rispetto alle passate puntate del franchise, e di fronte alla scena d’apertura, ambientata nel 1945 (il resto del film si svolge nel 1969), al tramonto della Seconda Guerra Mondiale, con un Harrison Ford straordinariamente ringiovanito in digitale, non si può che restare sbalorditi: il cinema post-umano sta facendo passi da gigante e viene da domandarsi quando il corpo degli attori, con la loro età e i loro acciacchi, diventerà definitivamente obsoleto. Manca pochissimo.

Il carattere di questi film si esprime quindi nello status iconografico del protagonista (che, vi rassicuriamo, è intatto) e nella scelta dei comprimari, attraverso la scrittura dei dialoghi, dove in mezzo al fan service emerge lo spirito dei tempi: se ogni Indiana Jones, a partire almeno dal terzo, è definito da un rapporto familiare, stavolta a incarnarlo sono il professor Jones e la sua figlioccia, Wombat (Phoebe Waller-Bridge), primogenita biologica di un collega e amico del passato di Indy. Questo rapporto risponde alle logiche politiche del nostro tempo, Wombat è un’eroina action spavalda e indipendente, ed è interessante che la migliore punchline nella migliore scena del personaggio sia proprio (in inglese) “Me Too”.

Molto del gradimento degli spettatori, così come del destino futuro del film nella memoria collettiva, dipenderà da quanto il rapporto tra lei e Indy verrà percepito come soddisfacente: non è un caso che – in mezzo al ritorno di tanti personaggi e attori del passato – in questo Indiana Jones l’unico ad essere definitivamente cancellato sia proprio Shia LaBeouf, che nel quarto film era stato l’anello debole della catena.

Quello che invece certamente funziona nel Quadrante del Destino è il villain, affidato al formidabile Mads Mikkelsen, nel più prevedibile ma anche soddisfacente dei typecasting. C’è tra l’altro un breve, ottimo momento in cui si crea una improvvisata alleanza tra il suo Jürgen Woller e Wombat che dimostra come Waller-Bridge avrebbe lei stessa voce, mimica e physique du rôle perfetti per una carriera da “cattiva” nel cinema commerciale.

Il finale, che non sveliamo, ha tutte le caratteristiche delle migliori storie di Indiana Jones, con l’elemento fantasy che infine prende il sopravvento e la Storia che esce dai libri tanto cari al protagonista per svelarsi nella sua concretezza. Ed è difficile, quando sui titoli di coda parte il tema di John Williams, non commuoversi, almeno per chi ha una certa età. Ecco, il meglio di questo Quadrante del destino sta nella testa e nella coda, nelle musiche, nelle scenografie consapevolmente farlocche, negli insetti ripugnanti e nelle esalazioni mefitiche, nei nazisti cattivissimi ma disperatamente inconcludenti, cioè in tutto quello che “fa” Indiana Jones e che James Mangold rispetta scrupolosamente, mimando molto bene lo stile spielberghiano.

E se il cinema commerciale americano di oggi, la cui fondazione va d’altra parte ricercata proprio negli antenati di questo film, a volte rischia di giocarsi l’anima inseguendo forme spettacolari sempre più omologate, l’antidoto migliore resta proprio il ghigno sbilenco di Harrison Ford.

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