Da febbraio 2016, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie “A scena aperta”, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video.
C’è una strana percezione in Italia per quello che riguarda l’adattamento di It del 1990 a opera di Tommy Lee Wallace: lo si ricorda come fosse bello. Non lo era.
Le ragioni di questo enorme travisamento della realtà sono molteplici e quasi tutte legate alla trappola della nostalgia. Ma andiamo con ordine.
In Italia la miniserie arriva nel 1991 con il titolo di It – Il pagliaccio assassino e non passa, come negli USA, per i canali televisivi, ma viene lanciata direttamente per il mercato della vendita e del noleggio in home video. Si tratta di un’operazione inedita per il periodo e anche furba perché l’opera non viene percepita come un prodotto televisivo (quale è) ma come un lungo e unitario film-evento, messo a disposizione di un pubblico affamato di suggestioni inquietanti (è anche l’anno di Twin Peaks, vale la pena ricordarlo). Il lancio si sposa anche con la ormai capillare diffusione dei videoregistratori VHS nelle case di tutti gli italiani e trova nei ragazzi adolescenti di allora (che sono tra i principali utilizzatori di quella tecnologia) terreno fertile.
All’epoca, se eri un adolescente e volevi spaventare la ragazza che ti piaceva per fare in modo che lei si stringesse a te, la invitavi a casa tua quando mamma e papà non c’erano, la facevi sedere sul divano con i fiori e la costringevi a vedere Tim Curry vestito da pagliaccio sul tuo televisore a tubo catodico da 18 pollici (quando andava bene). O quello o il primo Nightmare, che ti eri registrato la settimana prima grazie alla Notte Horror di Italia Uno. Funzionava quasi sempre, ve lo assicuro. Ma il merito di tante lingue in bocca e di tanti appassionati palpeggiamenti derivati da provvidenziali spaventi, non era certo da ascrivere alla bontà del lavoro di Wallace. Anzi, il ritmo soporifero e la povertà della messa in scena complessiva del suo adattamento televisivo del capolavoro di Stephen King erano quanto di meno utile per i fini di un adolescente arrapato. No, il grosso del lavoro lo faceva un solo, straordinario, elemento: Tim Curry nei panni di Pennywise. Che poi è anche la ragione per cui, ancora oggi, vale comunque la pena di spendere quattro ore per vedere questo brutto “sceneggiato”.
Comunque, almeno una scena da salvare c’è e arriva dopo otto minuti. È il primo flashback ambientato nel 1957.
Siamo a casa della famiglia Denbrough e il piccolo Georgie sta per uscire, nonostante la pioggia, per andare a giocare con la barchetta di carta che gli ha costruito il fratello maggiore Bill, che quel giorno è a letto malato (1).
Con un movimento fluido e abbastanza elegante passiamo dall’esterno della villetta fino alla camera dei ragazzi. Bill “Tartaglia” manda Georgie in cantina a prendere la paraffina, necessaria per permettere alla misera barchetta fatta con un foglio di giornale di resistere all’acqua (2).
Il fratellino ci va (con un orrendo stacco di montaggio) e due inutili scenette (fortunatamente brevi) dopo, lo vediamo finalmente in strada, a inseguire il natante lungo un rivolo d’acqua a bordo marciapiede (3).
Come da copione, la barchetta finisce giù per un canale di scolo e Georgie, con la sua mantellina gialla, si affaccia attraverso la grata per vedere dov’è finita. E in quel momento sbuca Pennywise (4).
Dal basso, con un movimento subitaneo che coglie di sorpresa lo spettatore. Curry, nel suo costume sgargiante e con il suo sorriso con troppi denti, è così assurdo e fuori posto nel buio di quelle fogne, che immediatamente assume uno stato di icona dell’orrore. Il clown chiede a Georgie se vuole un palloncino, il ragazzino gli domanda se galleggia e Tim Curry, perdendo il suo amichevole sorriso e assumendo il suo aspetto più terrorizzante, gli risponde che «Sì, galleggia, galleggiano tutti… e anche tu galleggerai, Georgie!» (5).
Il resto sono denti aguzzi, urla e un braccio mozzato (ma quello lo dovete aggiungere voi prendendolo dal romanzo perché nella miniserie non c’è praticamente una goccia di sangue) (6).
E, grossomodo, il valore di questo primo adattamento di It è tutto qui, in questa singola scena e in tutte quelle successive (non poche), in cui appare lo straordinario interprete del Dottor Frank-N-Furter. Il resto è un innocuo prodotto televisivo, con una brutta fotografia, una colonna sonora scontata, e un cast abbastanza terribile che vale la pena di essere rivisto solo per ricordarci gli anni in cui avevamo bisogno di un horror per mettere la mano sul seno di una ragazza.
Foto: © The WB Television Network/Warner Bros.
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