Ecco un estratto della cover story di Best Movie di luglio:
Da bravo Gemelli, quando Johnny Depp si mette un’idea in testa, la porta a termine. Costi quel che costi. Specialmente se ha appena compiuto 50 anni e si ritrova due amici, intraprendenti almeno quanto lui, per metterla a punto.
L’istrione di Hollywood festeggia, infatti, il mezzo secolo di vita (celebrato lo scorso 9 giugno e omaggiato anche da Best Movie), portando sul grande schermo un sogno che coltiva fin da ragazzo: The Lone Ranger. Dove il leggendario Cavaliere Solitario – nato in radio nel 1933 e divenuto famoso in tutto il mondo grazie a una serie tv degli anni Cinquanta – è meno solo che mai. «Amavo il telefilm, ma non ho mai accettato che l’indiano Tonto dovesse essere una semplice spalla del ranger. Così, (in questo adattamento di cui è interprete ma anche produttore esecutivo, ndr) ho tentato un approccio diverso: oltre al valoroso guerriero, c’è un uomo con un umorismo fuori dal comune. Desideravo che il personaggio potesse riscattare i nativi americani al cinema». Così, il pellerossa che ha seguito come uno scudiero il suo amico mascherato per ottant’anni, si è trasformato in co-protagonista e narratore.
UNA KOLOSSALE ORIGIN STORY
Quella di The Lone Ranger (in sala dal 3 luglio), infatti, «è una origin story» come hanno annunciato il regista Gore Verbinski e il produttore Jerry Bruckheimer, insieme a Depp, dietro al successo dei primi tre Pirati dei Caraibi. «Anche i fan storici della serie televisiva saranno sorpresi dal film – ha proseguito l’autore – perché tutti conoscono le avventure del Cavaliere Solitario, ma non quella che raccontiamo noi, dalla prospettiva di Tonto. Sarà come Don Chisciotte dal punto di vista di Sancho Panza».
Con un impianto produttivo (250 milioni di dollari) che ha fatto impallidire tutto il cinema Western che lo ha preceduto. Trasformando il genere low cost per eccellenza in un kolossal con un budget da capogiro (anche per gli standard più recenti), che ha pure rischiato di far arenare il progetto. Per intenderci, nel 1990 il pluripremiato Balla coi lupi e i viaggi spaziotemporali di Ritorno al futuro – Parte III sono costati rispettivamente 22 e 40 milioni di dollari. Per Django Unchained, nel 2012, tra esplosioni scenografiche e sparatorie rocambolesche, non sono stati superati i 100 milioni. Neppure lo steampunk con Will Smith e gli effetti speciali di Rick Baker, Wild Wild West (’99), è andato oltre la soglia dei 170 milioni di dollari. Non si è badato a spese, insomma, per reinventare un genere sotto una nuova veste. Sulla quale, per alcuni mesi, si era pensato addirittura di cucire lupi mannari e altre creature.
Un’idea poi accantonata per raccontare l’epopea americana del Far West attraverso una favola classica modernizzata – sulla scia dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie – in favore di un grande show adatto a tutta la famiglia, come da buona tradizione Disney (la major dietro alla colossale impresa). «Sapevamo – ha chiosato Bruckheimer – che era arrivato il momento della rinascita per The Lone Ranger e i Western, così come avevamo intuito tale possibilità per i Pirati». La chiave di svolta per un ritorno del Cavaliere Solitario nell’Era 2.0 è stata, quindi, individuata in «una buddy story, ricca di avventura, azione, ironia e un tocco di eccentricità come tratto distintivo». […]