Cosa si nasconde dietro l’arcobaleno di cui cantava una sognante Judy Garland nel Mago di Oz? La risposta è meno affascinante di quanto pensiamo: quando il classico diretto da Victor Fleming arrivò in sala, nel 1939, la Garland aveva 17 anni ma era già un’attrice navigata, avendo iniziato a esibirsi a soli 2 anni insieme alle sue sorelle. Un’infanzia tutt’altro che facile, la sua: sotto contratto con la MGM, che la sfruttava, l’artista era obbligata a seguire una dieta rigida a base di anfetamine per restare magra. Anche perché, come amava ripeterle Louis B. Mayer, a capo dello Studio, «Ci sono centinaia di ragazze molto più carine di te disposte a tutto pur di prendere il tuo posto».
Un’esistenza travagliata, come racconta anche Judy (in sala dal 6 febbraio), il film di Rupert Goold incentrato sugli ultimi mesi della sua vita e basato sullo spettacolo teatrale End of the Rainbow. È tra i titoli di punta della nuova stagione, soprattutto per via della sua strepitosa protagonista: una Renée Zellweger mai così brava, che dopo sei anni lontana dai riflettori (fatta eccezione per il terzo capitolo di Bridget Jones, uscito nel 2016) ci regala una performance toccante che, quasi di certo, la porterà dritta sul palco degli Academy Awards per ritirare il suo secondo Oscar, dopo quello vinto per Cold Mountain.
«Oh, non ci ho nemmeno pensato!» ammette con un sorriso l’attrice americana quando la incontriamo a Londra. Ambientata nel dicembre 1968, la pellicola ricostruisce una fase difficile per Garland: quando, sola e senza un soldo, dopo essere stata costretta a vendere la casa di Los Angeles, accettò di trasferirsi per 5 settimane a Londra per esibirsi nel club Talk of the Town pur di non perdere la custodia dei due figli. Non sarà facile: disperata e fragile, vittima di droghe e alcol, morirà a Londra nel giugno 1969, a 47 anni, uccisa da un’assunzione eccessiva di barbiturici.
Come è iniziato il tuo viaggio alla scoperta di Judy Garland?
«Quando Rupert Goold e il produttore David Livingstone mi hanno inviato il copione, ho pensato che fosse splendido, ma mi sono chiesta come mai avessero scelto me. Li ho raggiunti a Londra per parlare del progetto e provare alcune cose, sperimentando i look e registrando qualche brano. Ho iniziato a lavorare sulla voce e, da quel momento in poi, non ci siamo più fermati. È stata un’esperienza speciale».
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