Judy: la recensione del film su Judy Garland con Renée Zellweger candidata all'Oscar
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Judy: la recensione del film su Judy Garland con Renée Zellweger candidata all’Oscar

Renée Zellweger, candidata agli Oscar come miglior attrice, riporta in vita Judy Garland nella fase finale della sua vita per un biopic sulla star de Il mago di Oz

Judy: la recensione del film su Judy Garland con Renée Zellweger candidata all’Oscar

Renée Zellweger, candidata agli Oscar come miglior attrice, riporta in vita Judy Garland nella fase finale della sua vita per un biopic sulla star de Il mago di Oz

Judy
PANORAMICA
Regia (2.5)
Interpretazioni (4.5)
Sceneggiatura (2.5)
Fotografia (2.5)
Montaggio (2)
Colonna sonora (3)

Judy, biopic che vede Renée Zellweger nei panni della divina Judy Garland, interprete d’intramontabili hit canore come Over the Rainbow e attrice che ha consegnato il suo nome all’immortalità attraverso classici quali Il mago di Oz, È nata una stella e Incontriamoci a St. Louis, si concentra sull’ultimo periodo della vita della grande cantante.

Il film diretto da Rupert Goold, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso ottobre e in arrivo nelle nostre sale pochi giorni dopo il 50° anniversario della morte della Garland e l’80° anniversario de Il mago di Oz, segue la Garland sul finire di una carriera sfolgorante iniziata da giovanissima proprio grazie alla Dorothy del cult senza tempo di Victor Fleming. Da quel set, che fu per lei una benedizione e al contempo una dannazione perpetua, la ricostruzione biografica prende le mosse per immortalare gli ultimi fuochi, e naturalmente anche le ceneri, del vissuto di questa donna che divorziò quattro volte e subì diverse traversie personali, disperdendo negli anni il proprio potenziale vocale e arrivando a circondarsi dello scetticismo di chiunque.

Per sostentare i figli la Garland si ritrova così, nell’arco narrativo che il film descrive, ad accettare la proposta di una tournée canora a Londra, quella del Talk of the Town consumatasi nell’inverno del 1968, a trent’anni di distanza da Il mago di Oz e dopo la quale morì a soli 47 anni. La Garland di Judy è chiaramente una sopravvissuta, una martire della MGM, casa di produzione che la lanciò ma che al contempo ne prostrò l’equilibrio fisico e psichico tra farmaci per il sonno e sintomi assimilabili, a tutti gli effetti, a uno stesso post-traumatico in piena regola (il regista di True Story si è ispirato alla pièce teatrale The End of the Rainbow di Peter Quilter).

La simbiosi della diva con quell’inossidabile fabbrica dell’immaginario, coincidente con lei più con gli incubi che coi sogni, è però inalienabile e Judy racconta, neanche troppo in filigrana, di quest’intreccio faticoso e malsano, di quest’incrinatura struggente, lavorando sull’opacità e sulle sfocature del personaggio, scrutando con pudore il baratro delle sue fragilità. E appoggiandosi, in maniera legittima e tutt’altro che sibillina, alla grande prova – a tratti sensazionale, qua e là perfino stordente nonostante il campionario di “faccette” tipico dell’attrice – di un’ispiratissima Renée Zellweger, alle prese col ruolo che potrebbe rilanciarne le quotazioni (un piccolo passo in questa direzione era What/If di Netflix, ma qui siamo su ben altri livelli) e che con ogni probabilità la condurrà a veleggiare verso la prossima notte degli Oscar da assoluta protagonista, con una prevedibile statuetta dorata come miglior attrice protagonista.

La sua è un’interpretazione di puro metodo, all’americana, e non potrebbe essere altrimenti, per lo sforzo mimetico e l’abilità di farsi carico di cicatrici esteriori e interiori, evidenti e invisibili, che la portano ad aderire alla sua Judy come a un guanto in cui i confini della credibilità della sua performance si amplificano a dismisura e a perdita d’occhio. Le linee guida della narrazione sono invece quelle del biopic più canonico che si possa immaginare: un’impostazione avara di sorprese ma funzionale allo scopo generale, alla restituzione didascalica e immediatamente leggibile del dolore più recondito, con in più qualche sbandamento patinato connaturato a quest’approccio.

Tra battaglie col proprio management, rapporti travagliati con musicisti, fan, fidanzati e amori e un’atmosfera dolente da viale del tramonto da cristallizzare opportunamente e con misura sul grande schermo, Judy è un prodotto orgogliosamente medio, che tuttavia riesce, nei momenti migliori e più palpitanti ma anche nel mood generale, a emozionare sommessamente, con fedeltà e aderenza alla “vera Judy Garland” e al commovente scolorirsi della sua icona. Verso l’arcobaleno e oltre.

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