Un racconto d’estate lungo più di tre ore in cui senti il sole scottarti la pelle, l’imbarazzo del primo bacio, il vuoto di un amore sfuggito di mano, l’esaltazione e la noia di un’infinita notte in discoteca. È questo e molto altro Mektoub, My Love: il nuovo film-fiume che il regista francotunisino Abdellatif Kechiche ha presentato ieri al Festival di Venezia (qui la nostra recensione).
Come spesso accade nelle sue opere, i protagonisti sono dei giovani attori non-professionisti che si regalano totalmente a Kechiche: autore come pochi in grado di riprendere i sentimenti in ebollizione dell’adolescenza, chiede ai suoi interpreti una dedizione totale con interminabili sessioni prove e innumerevoli ciak sul set. Nello specifico caso di Mektoub, My Love, Ophélie Bau, Alexia Chardard, Lou Luttiau e Shaïn Boumedine, mesi di prove sono stati tre, mentre sette quelli di riprese. Il risultato è una naturalezza e una verità unica.
Oggi abbiamo incontrato i quattro attori protagonisti qui al Lido che ci hanno raccontato di questa esperienza totalizzante, del timore che Kechiche suscitava loro nei primissimi incontri e di come poi sia riuscito a farli “vivere nei personaggi”. Le interviste complete le troverete sulla rivista quando il film uscirà nelle sale italiane (probabilmente tra gennaio e febbraio 2018), ma per il momento vogliamo riportarvi le dichiarazioni dei quattro sull’accusa di sessismo e voyeurismo rivolta al regista da parte di alcuni giornalisti. Lo sguardo di Kechiche – questa è la critica – si sofferma con volgarità sui corpi e i fondoschiena dei personaggi femminili, in particolare quello di Ophélie Bau.
Ophélie Bau, Alexia Chardard, Lou Luttiau e Shaïn Boumedine hanno visto il film per la prima volta ieri. A loro abbiamo chiesto esplicitamente cosa ne pensassero di quelle accuse.
Ophélie Bau (Ophélie): «I giornalisti che hanno lanciato queste critiche non hanno capito il messaggio del film: sono liberi di credere quello che vogliono, ma non hanno colto il senso della storia. Io dovrei essere la persona più direttamente interessata a quello sguardo sessista e voyeuristico, ma non ho percepito nulla di tutto ciò. Né durante le riprese, né rivendendomi sul grande schermo ieri sera. Con mia grande sorpresa, girare le scene di nudo non è stato per nulla difficile, e questo proprio grazie ad Abdellatif: lui si è preoccupato che non provassi imbarazzo e così ha fatto un lungo lavoro preparatorio. Poi, ha voluto che per quelle sequenze, sul set, fossi circondata solo dalle donne della troupe. Ha fatto di tutto per evitare il mio imbarazzo: abbiamo avuto lunghe conversazioni e mi ha aiutato ad abbattere le mie barriere, a farmi sentire libera: Ed è proprio questo il messaggio del film: un inno alla vita, alla libertà, all’amore».
Alexia Chardard (Charlotte): «Sono critiche infondate. Il mio personaggio è forse quello meno esposto sotto questo punto di vista, perché Charlotte è una ragazza abbastanza timida e diversa dalla altre del gruppo, si mette poco in vista. Però anche se fossi stata nei panni di Ophélie, non mi sarei sentita a disagio. Io parto dal principio che lo strumento di un attore è proprio il suo corpo: come attori dobbiamo avere l’abitudine a mettere a nudo il nostro corpo, a metterlo al centro dell’attenzione: questo è il cinema, così come è la danza. Non mi disturba per nulla lo sguardo di Kechiche, proprio per nulla».
Lou Luttiau (Céline): «Personalmente non sono per nulla d’accordo con quella critica. Ma proprio per niente. Forse avendo visto il film solo una volta è difficile darne un giudizio oggettivo, è un’opera che richiede più visioni per essere apprezzata nella sua pienezza».
Anche Shaïn Boumedine (Amin), unico ragazzo del gruppo presente alle nostre interviste, ci tiene a dire la sua: «Io ci tengo a rispondere come uomo a queste accuse anche perché Abdellatif ha usato il mio sguardo, il mio punto di vista per raccontare la storia del film: le ragazze sono spesso inquadrate come le guardo io. Proprio per questo quelle critiche mi hanno toccato, mi hanno fatto male. E a quelle critiche rispondo così: Amin adora la vita, i corpi, le donne. Lo sguardo di Kechiche è semplicemente una valorizzazione della loro bellezza».
Foto: Getty Images
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