Kong: Skull Island, lunga vita al Re. La recensione
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Kong: Skull Island, lunga vita al Re. La recensione

Jordan Vogt-Roberts dirige un film che assume i contorni di un Apocalyse Now ricco di azione e, soprattutto, di mostri giganteschi, con King Kong assoluto protagonista. Dal 9 marzo al cinema

Kong: Skull Island, lunga vita al Re. La recensione

Jordan Vogt-Roberts dirige un film che assume i contorni di un Apocalyse Now ricco di azione e, soprattutto, di mostri giganteschi, con King Kong assoluto protagonista. Dal 9 marzo al cinema

skull island

È un film di mostri, Kong: Skull Island, e lo mette in chiaro sin dalla prima stretta di mano, con un prologo ambientato al tempo della Seconda Guerra Mondiale in cui King Kong si svela subito, seppur non in tutta la sua imponenza da record (è il più grosso tra quelli usciti sinora al cinema). Nessun giochino d’attesa come in Lo squalo di Spielberg o, per restare nello stesso territorio, l’ultimo Godzilla di Gareth Edwards.

Un salto di 30 anni circa ci porta agli anni ’70, fine guerra del Vietnam, per costruire il setup della storia: un’operazione governativa chiamata M.O.N.A.R.C.H., guidata da John Goodman, punta a esplorare un’isola incontaminata a sud del Pacifico, sempre rimasta fuori dalle mappe perché nascosta dalla tempesta atmosferica che la circonda, visivamente molto simile al muro di sabbia e vento dipinto da George Miller nel deserto di Mad Max: Fury Road. Si costruisce quindi il team di protagonisti: Tom Hiddleston è un cacciatore inglese, Brie Larson una fotografa pacifista, Samuel L. Jackson un comandante dei marines turbato dall’aver abbandonato la guerra contro i “Charlie”.

L’impianto narrativo è molto classico e, terminati i preamboli, si cominciano a cogliere i riferimenti e gli omaggi cinematografici che caratterizzano la sceneggiatura: l’arrivo sull’isola misteriosa ricorda quello di Alan Grant e compagni su Isla Nublar, teatro del primo Jurassic Park. Le riprese dall’alto degli elicotteri, con in sottofondo il meglio della musica rock anni ’70, richiama war movie come Platoon e, soprattutto, Apocalypse Now. Il film di Coppola, insieme al racconto a cui è ispirato, Cuore di tenebra di Conrad (nome, tra l’altro, del personaggio di Hiddleston), è il rimando principe, solo che stavolta, sul sole rosso-arancio che accoglie i soldati in volo, si staglia la figura gigantesca di King Kong, che ci mette poco ad abbattere gli intrusi come mosche.

Del gorilla, il film celebra anzitutto lo status di divinità locale, senza riproporre, se non accennandolo brevemente, il legame della bestia con la bella di turno. Ma è l’aurea leggendaria di tutti i mostri ad avere peso, e l’uomo è una figura di contorno, pronto a fare da spuntino alla varietà di creature che lo aspettano: ragni giganti con zampe alte quanto alberi, piovre, e i più cattivi, lucertoloni sotterranei a due zampe con un teschio al posto della testa.

La centralità dei mostri e dell’azione – il film è sempre in movimento, con pochissime pause – rende pressoché assente la caratterizzazione dei personaggi, per la maggior parte costruiti su noti archetipi (tanto che forse converrebbe rendere i bestioni uniche presenze di questo genere di film). Si salvano giusto quelli di Samuel L. Jackson e John C. Reilly: il primo è l’incarnazione della superbia dell’uomo nei confronti di Madre Natura, un capitano Achab accecato dalla vendetta nei confronti di Kong, sentimento che presto diventa follia. Reilly, invece, interpreta un uomo sopravvissuto per anni sull’isola vivendo insieme a una tribù di indigeni locali, ed è una sorta di versione comica del colonnello Kurtz di Marlon Brando.

Con alle spalle un’esperienza nel cinema indie e indipendente, al suo primo blockbuster il regista Vogt-Roberts muove con disinvoltura la sua macchina da presa, quasi come se fosse un veterano delle sequenze di combattimento tra mostri, simili a titanici incontri di wrestling. L’azione è fluida, chiara e mai caotica, e l’ottima coesione tra realtà e CGI garantisce l’intrattenimento – molto meno dark di quanto lasciato intuire dai vari trailer – che è logico aspettarsi da questo tipo di spettacoli, nonostante qualche esagerazione di troppo sul finale.

Skull Island è figlio di quella condivisione di universi ormai diventata parola d’ordine per le major e i loro grandi franchise. E il mondo che inaugura si chiama MonsterVerse, destinato a portarci sino al mastodontico crossover tra King Kong e Godzilla: la terra trema già.

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