Jack (Matt Dillon) è un serial killer. Da qualche parte, in un luogo buio, su un sentiero che porta non si sa bene dove, racconterà a Virgilio (Bruno Ganz) i cinque “incidenti” che lo hanno portato fin lì. In attesa di compiere l’ultima parte del viaggio, e affrontare il suo destino.
Sette anni dopo essere stato bannato da Cannes per aver scherzato col fuoco, autodefinendosi un nazista (lui che nel 1998 aveva fatto suonare, sempre a Cannes, l’Internazionale) e definendo Israele “A pain in the ass”, Von Trier è tornato sulla Croisette lo scorso maggio con un film in cui, sostanzialmente, si costituisce, mettendo se stesso nei panni di un serial killer (Matt Dillon, straordinariamente in parte) misogino, nichilista e ossessivo compulsivo. Un esteta con una visione completamente amorale dell’arte.
Un architetto incapace di edificare una casa se non attraverso i cadaveri delle sue vittime.
La casa di Jack (il titolo originale è The House That Jack Built) arriva oggi nelle sale italiane distribuito da Videa, in una doppia versione (nel primo articolo correlato trovate tutte le informazioni a questo proposito), dopo aver fatto fuggire gli spettatori dalla sala sulla Croisette, stando alle leggende metropolitane di rito, e aver fatto parlare molto di sé tra entusiasmi e rifiuti, come d’abitudine per il cineasta di Melancholia e Nymphomaniac.
Nel link in fondo a quest’articolo potete leggere la nostra recensione nel dettaglio dell’ultima follia del maestro danese.
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LA CASA DI JACK: LA NOSTRA RECENSIONE DEL NUOVO FILM DI LARS VON TRIER
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