È difficile parlare di La corrispondenza senza fare un enorme spoiler, è difficile cioè parlarne a chi non l’ha ancora visto, la sinossi è poca cosa e in pratica si esaurisce in un colpo di scena gigantesco che interviene quasi subito (che è anche la ragione per cui i trailer del film – che lo aggirano – sono dei pasticci incomprensibili). Possiamo dire che il film di Tornatore è un melodramma digitale, un racconto epistolare in cui al posto di carta e penna abbiamo tastiere, smartphone e CD-Rom.
Ai due capi della comunicazione ci sono Amy, una studentessa di astrofisica fuori corso che si mantiene facendo la stunt-man (Olga Kurylenko), e un suo ex professore (Jeremy Irons) che vive a Edinburgo con la famiglia e intrattiene con la ragazza un rapporto – ormai sei anni – intenso quanto saltuario, tutto consumato in stanze d’albergo.
Tra un incontro e l’altro passano mesi, ingannati video-chiamandosi su Skype. A un certo punto però le video-chiamate si interrompono, e cominciano ad arrivare solo e-mail e CD-Rom. Che sta succedendo?
Qui ci fermiamo, anche perché il problema è tutto tranne che l’intreccio. La storia d’amore che vuole Tornatore deve essere esemplare, ma non ha minutaggio sullo schermo, non accade mai – è già stata. L’affinità elettiva è quindi dimostrata a parole, come fosse una tesi, per scambi di battute impacciati (“Non mi hai mai lasciato una tua canottiera” è già cult), ed è francamente imbarazzante immaginarsi Tornatore alla scrivania che poeteggia con questi risultati.
C’è quindi un eccesso di chiacchiere e una assoluta povertà di situazioni, di messa in scena, che lascia come unica chiave di lettura la schiavitù sentimentale di Amy nei confronti del nulla, cioè di un uomo che non tocca praticamente mai, quel genere di rapporto che è sempre esistito ma oggi si associa a una certa forma di alienazione legata agli strumenti elettronici. E quindi l’idillio immateriale, frammentato in duemila messaggi, in continue contrattazioni minuscole, micro testo dopo micro testo, con la ragazza incollata allo smartphone in palestra, a teatro, al lavoro, all’università.
Ecco, se si vuol provare a salvare qualcosa, va riconosciuto a Tornatore questo tentativo, aver provato a farci credere in una storia con un solo terminale, esaurita nei mezzi vecchi e nuovi della comunicazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA