La rinascita del mostro. La recensione di Alien: Covenant
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La rinascita del mostro. La recensione di Alien: Covenant

Che fine hanno fatto Elizabeth Shaw e l'androide David? Quale sarà il destino degli Ingegneri? Il nuovo capitolo della saga, diretto ancora da Ridley Scott, risponde alle domande pigiando sul pedale dell'horror

La rinascita del mostro. La recensione di Alien: Covenant

Che fine hanno fatto Elizabeth Shaw e l'androide David? Quale sarà il destino degli Ingegneri? Il nuovo capitolo della saga, diretto ancora da Ridley Scott, risponde alle domande pigiando sul pedale dell'horror

Alien: Covenant, lo xenomorfo

È bene ricordare il primo Alien alla fine di Alien: Covenant, il modo in cui raccontava il mistero dello spazio profondo, un’oscurità da cui emergeva una creatura implacabile e assassina. Era una scelta fotografica – Alien è un film in cui i personaggi sono costantemente assediati dal buio, lottano per non esserne ingoiati – e politica, con HR Giger che aveva trovato il modo di incarnare quel mistero in una forma affascinante ed esemplare, una creatura che era metafora di una società violenta e maschilista (fallocentrica come il muso del mostro, coperto di una bava bianca) a cui era necessario ribellarsi.
Ma Alien, prima di ogni altra lettura, era soprattutto una storia compatta ed essenziale, che lasciava tutto lo spazio possibile all’immaginazione e all’interpretazione.

Nei quasi quarant’anni trascorsi da quel film, e negli ultimi quindici in particolare, la rivoluzione digitale e quella televisiva hanno però inoculato nella scrittura cinematografica una doppia necessità – industriale e culturale – che porta produttori e sceneggiatori a rivoltare gli immaginari come un calzino, a far esplodere narrazioni e significati, a garantirsi contemporaneamente i ritmi frenetici dei meccanismi spettacolari e quelli dilatati del romanzo d’avventura.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la sintesi simbolica ed evocativa dei classici barattata con storie cervellotiche, dove si passa da dialoghi didascalici e battute a effetto – pensate per catturare anche il più sonnolento degli spettatori – a improbabili elucubrazioni sulle origini e il destino dell’esistenza umana.

Più nello specifico (piccoli spoiler a seguire). Alien: Covenant è il sequel di Prometheus, cioè il sequel di un prequel, e prende le mosse dal finale del film precedente, in cui Elizabeth Shaw e l’androide David lasciano la luna LV-223 con l’idea di dirigersi al pianeta degli Ingegneri e scoprire perché vogliono sterminare il genere umano. Proprio su quel pianeta atterra una seconda nave, la Covenant, dopo essere stata travolta da una tempesta solare. L’equipaggio scoprirà cosa ne è stato degli Ingegneri, di Elizabeth e di David.

Il film ha un tono cupissimo, un bodycount serrato (e particolarmente splatter) e due belle scene di combattimento tra umani e alieni, ma sceglie di sacrificare l’ultimo (gigantesco) mistero rimasto alla saga – cioè il dialogo tra umani e Ingegneri per capire le ragioni della vita sulla Terra – eludendolo completamente e mettendo invece in scena una specie di versione spaziale dell’Isola del Dr. Moreau, incentrata sulle rivendicazioni “politiche” e sulle smanie di onnipotenza degli androidi (la Covenant ne ospita uno, Walter, identico a David, entrambi interpretati da Michael Fassbender), un tema che francamente, considerata anche la vicinanza di Westworld e Ghost in the Shell, comincia a suonare dozzinale.

Va detto comunque che sono tempi difficili per la fantascienza adulta, critica e pubblico sono molto più pazienti con chi parodizza gli immaginari che con chi prova a esplorarli, accettando il rischio dell’impresa. Alien: Covenant resta un’esperienza cinematografica intensa, con una manciata di scene davvero impressionanti. Un po’ di attenzione in più nella scrittura dei personaggi sarebbe bastato a renderla soddisfacente.

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