La zampata di Black Panther. La nostra recensione
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La zampata di Black Panther. La nostra recensione

Il film standalone dedicato a Pantera Nera è il capitolo più adulto e crudo dell’MCU, merito anche di non uno, ma ben due villain carismatici e senza scrupoli…

La zampata di Black Panther. La nostra recensione

Il film standalone dedicato a Pantera Nera è il capitolo più adulto e crudo dell’MCU, merito anche di non uno, ma ben due villain carismatici e senza scrupoli…

Black Panther

Black Panther è un cinecomic differente, e lo si capisce a pochi secondi dai titoli di testa. Il film stand alone dedicato al re di Wakanda non parte da un laboratorio di ricerca, né dallo spazio, né da qualche esperimento sfuggito al controllo, ma dalla strada. Siamo nella suburbia di Oakland, anno 1992. T’Chaka, l’imperatore del Wakanda, fa una veloce incursione nel ghetto per scoprire chi ha tradito il suo popolo, rivelando la straordinaria ricchezza che custodisce segretamente: un immenso giacimento di vibranio – una lega di metallo aliena incredibilmente resistente e tecnologicamente duttile – precipitato sulla Terra in seguito alla caduta di un meteorite. Da qui facciamo un grosso balzo in avanti e scavalchiamo un gap di oltre 20 anni, per collegarci ai fatti narrati in Captain America: Civil War, film in cui abbiamo assistito alla morte di T’Chaka (John Kani) colpito in un attentato, e all’esordio nei panni di Black Panther di suo figlio, il principe T’Challa, interpretato da Chadwick Boseman.

Dopo aver combattuto al fianco di Iron Man per ristabilire l’ordine e soprattutto per tentare di vendicare la morte del padre (di fatto a causa di Bucky), T’Challa ritorna al suo Paese natale, per ereditare ufficialmente la corona del Wakanda. Ma come da tempo ci insegna casa Marvel, «da un grande potere derivano grandi responsabilità», e nel caso di Black Panther questo non riguarda solo i superpoteri su cui può contare, ma anche e soprattutto la gestione del vibranio custodito dal suo popolo. Una risorsa talmente potente da poter sovvertire l’ordine mondiale che di fatto viene sfruttata da una sola tribù situata nel cuore dell’Africa, eppure tecnologicamente avanzatissima (viaggiano a bordo di astronavi e possono contare su nanotecnologie avveniristiche). Una sorta di Atlantide nascosta al resto del mondo.

T’Challa è dilaniato da più dilemmi shakespeariani. Da una parte deve evitare che vibranio e le tecnologie sviluppate in Wakanda finiscano nelle mani sbagliate, dall’altra porta il peso di non poter condividere una risorsa che potrebbe aiutare intere popolazioni in difficoltà. Deve poi fare i conti con la verità scomoda che lo lega a Killmonger (Michael B. Jordan), cugino deciso a rivendicare il trono e villain senza scrupoli, che fragilizza l’assunzione del ruolo di re del protagonista sia a livello materiale che emotivo.

Altro nemico da non sottovalutare è il mercenario Ulysses Klaue, interpretato da un fenomenale Andy Serkis (senza mo-cap e finalmente in carne e ossa), interessato al potere e alla ricchezza che il vibranio gli può fruttare.

Ed è proprio attraverso questi due villain che Marvel coglie l’occasione per cambiare registro, proponendo qualcosa di mai visto prima e decisamente distante dal mood “caciarone” con cui solo qualche mese fa ci aveva divertito in Thor: Ragnarok. Senza raggiungere i toni pulp di Logan, la Casa delle idee ha confezionato per la prima volta un cinecomic ai limiti dei canoni Disney, un film adulto in cui si uccide senza pietà e in modi piuttosto cruenti. Il contesto africano ha inoltre permesso al regista Ryan Coogler di sfruttare un contesto inedito, in cui si passa da antichissimi riti tribali (come la cerimonia per l’incoronazione di T’Challa) a una dimensione hi-tech addirittura superiore a quella imbastita da Tony Stark, il tutto accompagnato da una soundtrack inusuale che spesso gioca sul ritmo ipnotico e incalzante degli djembé. Sempre sul fronte tecnologico una menzione speciale va a Letitia Wright, perfetta nel portare sullo schermo il personaggio di Shuri, la geniale sorellina di T’Challa che sta a Black Panther come Q sta a James Bond.

Le coreografie action “made in Marvel” sono sempre garanzia di grande spettacolarità, una su tutte l’inseguimento che Black Panther ingaggia tra i vicoli di Seul. Ma in un paio di occasioni il montaggio ipercinetico fa a pugni con i toni piuttosto bui della sequenza, rischiando di far perdere allo spettatore il senso dell’orientamento per qualche frame.

Detto questo, Marvel non solo ha confezionato ancora una volta un prodotto all’altezza delle aspettative, ma è riuscita a sfruttare al meglio l’opportunità di questo stand-alone per raccontare un supereroe in maniera diversa e anche coraggiosa, perché non proprio adatta a tutti (in termini di età). A Coogler va poi dato il merito di aver creato all’interno dell’MCU una vera e propria epica afro – sospesa tra radici tribali e progresso tecnologico – in grado di diventare un manifesto dell’orgoglio black dei giorni nostri, complici anche un paio di personaggi femminili (la spia Nakia interpretata da Lupita Nyong’o e l’indomita guardia reale Okoye a cui presta il volto Danai Gurira) decisamente magnetici.

Con Black Panther insomma, pare proprio che la Casa delle idee abbia affilato gli artigli prima di affondare il colpo finale con Avengers: Infinity War, e ormai manca davvero pochissimo…

 

Foto: © Marvel/Walt Disney Motion Pictures

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