Keith Carradine è una di quelle personalità impossibili da racchiudere in un cappello giornalistico. Membro di una famiglia totalmente dedita al cinema e all’arte in generale, cresciuto in un ambiente culturalmente stimolante, quanto disfunzionale, è il figlio dell’attore John Carradine e fratello di Bruce e David Corradine, da poco scomparso in circostanze ancora non chiare. Per quelli con qualche anno in più sulle spalle è l’indimenticabile interprete di molti film di Robert Altman (e l’autore della canzone “I’m easy “, che gli regalò l’Oscar per Nashiville), de I Duellanti di Ridley Scott e di molto cinema di Walter Hill. I più giovani molto probabilmente l’associano a Frank Lundy, lo scrupoloso agente federale che compare in due stagioni del serial Dexter. Ed è l’immagine che più si avvicina al Keith Carradine di oggi, non solo per la poca distanza temporale, ma anche per il portamento: un fascinoso uomo di 62 anni acuto e riflessivo, con un enorme bagaglio biografico alle spalle e una buona conoscenza della lingua italiana fornitagli dai suoi viaggi e dai suoi lavori nel nostro paese. Lo abbiamo incontrato a Torino, dove è ospite della preziosa retrospettiva dedicata al cinema di Robert Altman
Best Movie: Vista la cornice, come non partire da Robert Altman. Com’era lavorare sul set con lui?
Keith Carradine: «Unico. La grande rivoluzione di Robert Altman, specie per noi attori, è stata l’atmosfera di calore e di collaborazione che è stato sempre capace di infondere sul set. Tutto ciò che gli interessava era costruire un ambiente in cui gli attori potessero offrire le loro idee e i loro spunti in totale libertà. Alla base di questo c’era la sua grande ammirazione per la recitazione che trovava qualcosa di misterioso».
BM: Quanto è stato determinante nella tua vita e nella tua carriera aver fatto Nashiville?
Keith Carradine: «E’ stato come vincere la lotteria. Nashiville mi ha messo nella posizione di cambiare la mia vita, a 26 anni, solamente per merito di una canzone. Da allora mi sono state offerte molte opportunità che implicavano delle scelte molto importanti, che ho sempre fatto più di cuore che razionalmente. Probabilmente con una maggiore furbizia mi sarei costruito una carriera più commerciale, ma ho preferito seguire il mio gusto personale e muovermi nella direzione tracciata da Robert Altman. Ho girato con Ridley Scott, I duelleanti, quando Scott non era minimamente famoso e ho avuto il privilegio di recitare in Pretty Baby di Louis Malle, un film molto controverso ai tempi della sua realizzazione. Non propriamente film dal grande incasso commerciale, ma un’occasione di lavorare in un ambito estremamente interessante».
BM: Possiamo vedere anche il suo passaggio (e quello di molti altri interpreti della sua generazione) alla recitazione nei serial americani dell’ultimo decennio, come il proseguo di questa volontà di non cadere nelle trappole del cinema più commerciale?
Keith Carradine: «Esattamente. La ragione per cui lavoro molto più in televisione che al cinema è che attualmente si scrivono e si producono show di grande qualità, mentre il cinema mainstream realizza film che non mi interessano minimamente. Sembrano tutti dei cartoni animati gonfiati produttivamente da un processo di lavorazione industriale, ma vuoti all’interno, mentre la mia intenzione è quella di lavorare in progetti che io andrei personalmente a vedere al cinema. A me interessano le storie e le persone, il comportamento degli essere umani e tutto ciò che possa far riflettere in qualsiasi modo, mentre Hollywood è diventata una grande giostra per incassare e basta. Loro non cercano me e io non cerco loro. È come se mi trovassi al di fuori della scatola, ma la cosa non mi crea problemi».
BM: Però ha appena lavorato in Cowboys & Aliens?
Keith Carradine: «Sì ed è il primo di questi tipi di film che abbia mai fatto. Credo mi abbiano invitato a partecipare per la mia attitudine western e mi sono anche abbastanza divertito. Però da spettatore dico che può essere anche piacevole, ma puoi vederlo una volta. Non è molto complicato… [ride e parla in italiano]. Però ammetto che mi piace molto Iron Man, grazie soprattutto a Robert Downey Jr. che ha fatto un lavoro davvero straordinario».
BM: Quindi tornando a Dexter immagino sia uno dei serial che apprezza maggiormente?
Keith Carradine: «Assolutamente. L’esperienza in Dexter è stata davvero fantastica. L’idea di partenza è molto buona e lo show è realizzato meravigliosamente in tutti gli aspetti. In particolare Micheal C.Hall è fantastico, come anche Jennifer Carpenter, con cui il mio personaggio Frank Lundy costruisce un rapporto sentimentale molto difficile da mettere in scena. Per me, poi, è stato un grande onore essere invitato a ritornare nella quarta stagione. Ma non voglio aggiungere altro su Dexter perchè ho sperimentato sulla mia pelle quanto sia pericoloso farsi sfuggire uno spoiler per i fans che magari non sono in linea con la programmazione».
BM: Quali sono i suoi prossimi progetti?
Keith Carradine: «Ho appena lavorato alla prima stagione di una serie televisiva chiamata Missing, insieme ad Ashley Judd. La particolarità, rispetto allo standard produttivo delle serie americane, è che abbiamo girato moltissimo in esterno, in Repubblica Ceca e ad Instanbul. Sempre per la televisione, sono estremamente felice di aver partecipato ad un episodio di un’ora di un serial western, ancora senza titolo e che arriverà sui mercati internazionali prossimamente. Infine, proprio prima di venire qui, ero in Toscana per un progetto molto particolare chiamato Le Terroir, una storia di suspance, ambientato nel settore della produzione dei vini». (Foto Getty Images)
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