Le Mans '66 - La grande sfida, parla il regista James Mangold: «Con le auto voglio emozionare il pubblico»
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Le Mans ’66 – La grande sfida, parla il regista James Mangold: «Con le auto voglio emozionare il pubblico»

Il cineasta, già dietro la macchina da presa per Logan, ha presentato a Roma il film con Christian Bale e Matt Damon: un racconto sulla rivalità tra la Ford e la Ferrari che punta dritto agli Oscar

Le Mans ’66 – La grande sfida, parla il regista James Mangold: «Con le auto voglio emozionare il pubblico»

Il cineasta, già dietro la macchina da presa per Logan, ha presentato a Roma il film con Christian Bale e Matt Damon: un racconto sulla rivalità tra la Ford e la Ferrari che punta dritto agli Oscar

Le Mans '66 - La grande sfida

Arriverà nelle nostre sale il prossimo 14 novembre Le Mans ’66 – La grande sfida (titolo originale Ford Vs. Ferrari), il nuovo film di James Mangold, già regista di Logan, presentato con successo allo scorso Toronto Film Festival. Al centro del racconto la vicenda di un variopinto team di ingegneri e designer americani, guidato dai lungimiranti piloti automobilistici Carroll Shelby (Matt Damon, il cui personaggio è anche un costruttore di assoluto rilievo) e Ken Miles (Christian Bale, alle prese con un altro ruolo che fa il pieno di dimagrimento e intemperanze), assoldati da Henry Ford II, non senza qualche ritrosia e più di una controversia, con una particolare missione: quella di costruire dal nulla una nuovissima automobile che possa sconfiggere, finalmente, il costante dominio della Ferrari, al Campionato Mondiale di Le Mans del 1966.

«In questo mondo mi sono sicuramente rivisto: fare macchine non è molto diverso da fare film – dice il regista James Mangold, arrivato a Roma per presentare il film alla stampa italiana -, È un mestiere in entrambi i casi costoso, ti servono gli sponsor, i soldi, devi convincere gli altri ed evangelizzarli sul tuo lavoro. Credo che il nostro film in un certo senso sia romantico, all’epoca c’era un po’ più d’innocenza rispetto a oggi. A metà degli anni ’60, tuttavia, le aziende stavano già iniziando a rendersi conto del valore aziendale dello sport, anche se oggi la situazione da questo punto di vista si è ingigantita di cinque o sei volte. Ma è proprio per questo agone tra la creatività e il commercio che amiamo anche il cinema, in fondo. Dopotutto se facessi il pittore non mi servirebbero i soldi!».

Tutto il film, a conti fatti, si basa in fondo su questa polarità tesissima tra istinto e marketing, tra talento infiammabile e impossibile da tenere a banda, come quello del Miles di Bale, e bisogno, da parte della Ford e dei suoi untuosi e insopportabili esperti di comunicazione e pubblicità, di avere a capo della loro vettura una personalità più gestibile e rassicurante. «Abbiamo fatto molta ricerca, ci siamo guardati anche molti film aziendali – aggiunge Mangold – , Quando si fanno simili studi si scopre che i vari team dell’epoca cercavano di fregarsi gli uni con gli altri lanciandosi dadi e oggetti ai box dei meccanici, facendo finta di essere felici quando in realtà erano tristi e così via. Come dice il personaggio di Matt Damon, in una gara di 24 ore il vincitore non si può comprare, è puro, perché una gara così lunga farà emergere per forza di cose dei difetti».

James Mangold alla premiere a Parigi di Le Mans '66 - La grande sfida

«Credo che il mio sia un film profondamente cinematografico – aggiunge Mangold, che vanta tra le sue regia anche Quando l’amore brucia l’anima, biopic con Joaquin Phoenix nei panni del cantante Johnny Cash, a proposito delle suggestioni derivanti dalla lettura del suo film come grande metafora hollywoodiana -, C’è la battaglia, l’azione sulla pista, la storia complicata di una serie di eventi che non tutti conoscono e che il pubblico potrà scoprire. La verità è che l’automobile è una delle grandi metafore della vita del 20esimo secolo. Non puoi parlare di auto su un palcoscenico, la macchina da presa è nata apposta per riprenderla. Quando ci mettiamo dietro una macchina siamo in qualche modo protetti, diventiamo qualcos’altro, indossiamo una maschera».

«Il vero effetto speciale che non puoi comprare, parafrasando ancora la battuta di Matt Damon, è sempre è comunque l’umanità – precisa poi -, soprattutto visto e considerato che in questo film non abbiamo il vantaggio dei supereroi. Le corse in tv sono noiose perché fanno delle panoramiche sulle auto dall’alto, mentre io come spettatore vogli vedere cosa sta dietro la gara, perché quel pilota fa quello che fa, mostrare il lato intimo della faccenda. Le sequenze automobilistiche del film le abbiamo pianificate prima al montaggio, col montatore che mentre giravamo metteva insieme le scene per vedere se mancava qualcosa che casomai ci toccava integrare».

Alla conferenza stampa era presente anche Remo Girone, l’attore italiano dalla lunga e ricca carriera che in Le Mans ’66 – La grande sfida veste i panni di Enzo Ferrari, recitando in italiano e regalando dei siparietti gustosi ed esilaranti: «James Mangold è un grande direttore d’attori. Si accorge subito quando l’attore dà l’impressione di recitare, si muove a favore di camera e non è al cento per cento il personaggio che sta interpretando. Tutte le macchine sul set sono costruite a grandezza naturale e sono davvero straordinarie. Nessuno mi conosceva come attore su un set hollywoodiano così grande, ma quando sapevano che interpretavo io Enzo Ferrari volevano farsi tutti una foto con me!».

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