Le origini del buon fumetto
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Le origini del buon fumetto

Un’educazione paperopolese e l’uomo con la faccia in ombra raccontano un intero settore dal punto di vista di editor e autori, per provare a riflettere su come nascono i talenti e si costruiscono storie davvero interessanti

Le origini del buon fumetto

Un’educazione paperopolese e l’uomo con la faccia in ombra raccontano un intero settore dal punto di vista di editor e autori, per provare a riflettere su come nascono i talenti e si costruiscono storie davvero interessanti

Con Un’educazione paperopolese (Il Saggiatore) Valentina De Poli non ha solo raccontato una delle epoche d’oro del fumetto italiano, ha pure tracciato un quadro piuttosto preciso di impegno e difficoltà, di sfide e innovazione.

Topolino, la rivista, è un punto di riferimento per l’editoria: ha sempre venduto bene, dato spazio a nuovi talenti e formato professionalità. Ma soprattutto è stata in grado di imporsi all’interno del dibattito pubblico, di mostrare il valore effettivo dei fumetti e di un certo settore. In Un’educazione paperopolese la figura dell’editor, di chi mette insieme le storie e segue disegnatori e sceneggiatori, ha un ruolo fondamentale.

La stessa cosa succede nel libro di Tito Faraci, L’uomo con la faccia in ombra (Feltrinelli). In questo caso, il punto di partenza è un altro: non una cultura intera, ma l’esperienza di un autore. Fare fumetti non è mai stato un mestiere facile o così immediato: per riuscire a trovare il proprio posto, e ad affermarsi come talento, ci vuole tempo. E il sostegno degli editor è indispensabile. Questi due libri sono due diari, due resoconti puntuali di un periodo specifico.

Un’educazione paperopolese contiene ricordi e testimonianze; è un insieme di impressioni e considerazioni. L’uomo con la faccia in ombra prova a fare una cosa diversa, specialmente verso la fine. Faraci condivide alcune sceneggiature con il lettore proprio per avere uno spunto più concreto da cui partire. Sia De Poli che Faraci sottolineano gli stessi elementi: la complessità dell’editoria a fumetti, per esempio; il difficile rapporto che, a volte, si crea tra autori ed editori; e la centralità dell’editor. Oggi, purtroppo, fare fumetti significa affrettarsi, chiudere una storia velocemente, preferire autori con un seguito su Instagram ad autori con un effettivo talento e un’effettiva esperienza. Lo stesso editor, in questo modo, finisce per essere messo da parte. Non può più rivedere la sceneggiatura; i suoi interventi si riducono al minimo, e gli autori ‑quelli più giovani, quelli che hanno iniziato da relativamente poco – hanno più libertà e controllo.

Questa cosa, presa singolarmente, non è un problema. O almeno: non è un problema così grave. Inserita in un determinato contesto, però, può diventare un vero e proprio limite. E così, paradossalmente, si stampa di più, ci sono più esordi, più cose da leggere, ma non ci sono nuovi classici: titoli in grado di durare nel tempo e di rivolgersi a un pubblico più orizzontale. Non c’è più quella capacità di intercettare i gusti dei lettori e di raccontare storie veramente interessanti. Nel breve periodo questa superficialità editoriale non rappresenta un grosso rischio. Ma con il passare degli anni avere un ricambio generazionale, con autori di primo piano, nuove serie e nuovi personaggi, è sempre più complicato. Serve ripartire dalle basi. E Un’educazione paperopolese e L’uomo con la faccia in ombra fanno esattamente questo: ci ricordano le origini del buon fumetto.

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