Da febbraio 2016, Roberto Recchioni (fumettista e romanziere, oltre che curatore di Dylan Dog per la Sergio Bonelli Editore) firma su Best Movie “A scena aperta”, rubrica in cui svela i segreti delle scene più belle dei film disponibili in home video.
l pianeta delle scimmie del 1968 deve il suo successo a due elementi fondanti. Da una parte, l’intrigante gioco di ribaltamento della prospettiva sul racconto, che è stato ereditato dal romanzo omonimo (scritto da Pierre Boulle nel 1963) da cui la prima pellicola era tratta. Dall’altra, la messa in scena di questo ribaltamento e in particolare la potenza iconica di alcune immagini (di una in particolare…). Grazie a questi due fattori, il marchio Planet of the Apes è sopravvissuto fino ai giorni nostri attraverso i cinque film della serie originale, una serie televisiva con attori incarne e ossa, una serie animata, un tremendo e fallimentare remake a opera di Tim Burton, e una nuova trilogia di grande successo (di pubblico e di critica) di cui The War – Il pianeta delle scimmie rappresenta la più che degna conclusione. E la sequenza iniziale del film dimostra che Matt Reeves, regista di questo e del capitolo precedente, ha ben chiaro il segreto del successo della serie.
La scena si apre nella giungla, con una colonna di soldati che avanza guardinga. Vediamo gli uomini di spalle e noi siamo in mezzo a loro, leggiamo i motti battaglieri che hanno scritto sui loro caschi, sentiamo i loro respiri (1).
Usano armi e hanno un’attrezzatura che ce li fanno immediatamente inquadrare come “combattenti americani”, ovvero la figura di soldato più consueta al cinema, quella in cui più spesso siamo stati chiamati a identificarci. E, infatti, il nostro punto di vista è quello di un soldato tra i soldati. Del resto, questi guerrieri sono esseri umani proprio come noi, giusto? E questa è una scena di militari nella giungla come tante altre ne abbiamo viste. Poi spunta la prima scimmia. Fa parte del nostro gruppo. È un’amica. OK, è strano ma sappiamo di cosa parla il film: è normale che si vedano delle scimmie in questo film sul “pianeta delle scimmie” (2).
Un soldato alza la mano di scatto, tutti gli altri si appostano. C’è una minaccia (3).
La identifichiamo in altre scimmie, ma non come quelle che abbiamo visto prima: queste sono selvagge, stanno a cavallo, ricordano quasi i nativi americani, quelli che una volta erano chiamati “indiani” nei film western e che, nella Hollywood che fu, facevano sempre la parte dei cattivi (4).
Una delle scimmie è armata di mitragliatore, ma non come i nostri, sembra un AK-47, l’arma dei sovietici nei film action anni ’80, dei Nord Vietnamiti nei film sulla guerra del Vietnam, e che usano tutti i terroristi musulmani nei film odierni. Siamo ancora in piena comfort zone, nella giungla assieme a dei soldati umani (presumibilmente americani), aiutati dalle scimmie buone a combattere le scimmie cattive (selvagge, comuniste e terroriste). A parte il dettaglio dei primati, è tutta roba che conosciamo bene. Poi esplode la battaglia. Anche qui, tutto rientra nella più classica retorica di genere: girato benissimo, ma consueto. Però, a un certo punto, proprio mentre i marines (o quello che sono) stanno trionfando, ecco che dalle nebbie, in una cavalcata trionfale, arrivano i rinforzi per le scimmie cattive. Guerrieri a cavallo, armati di lance, che strillano tanto quasi fosse Geronimo in persona a guidarli. Una delle scimmie collaborazioniste e nostre amiche guarda intensamente i suoi simili ribelli venire alla carica e capiamo che le cose non andranno come ci avevano indotto a pensare. Fumo, rallenty, musica epica. È un momento topico (5).
I soldati umani iniziano a venire uccisi, uno dopo l’altro, e quelli che sono risparmiati vengono portati via in catene. Noi siamo catturati. E veniamo portati al villaggio dei cattivi, dove vediamo la loro società e le loro famiglie così umane e, soprattutto, incontriamo di nuovo Cesare, il carismatico scimmione a capo della rivolta, protagonista delle due pellicole precedenti (6). E tutto si capovolge.
Non siamo noi i buoni, sono loro. Noi siamo gli invasori, i cattivi. Ribaltamento e potenza visiva delle immagini. E il miracolo del Pianeta delle scimmie si rinnova. Con la sontuosa messa in scena di protagonisti e scenari consueti, Reeves ha usato tutto il cinema che abbiamo visto per indurci a credere qualcosa e poi, proprio quando la faccenda stava per farsi banale, ha ribaltato il nostro punto di vista, costringendoci a vedere la cosa dall’angolazione opposta, facendoci inchiodare dai nostri stessi pregiudizi. È un lavoro raffinato, quello fatto dal gruppo di scrittura e regia, non solo perché funziona egregiamente in termini narrativi, ma anche perché rivela una conoscenza profonda della serie e la consapevolezza di quali sono i suoi elementi vincenti. E questa è anche la ragione per cui la nuova trilogia del Pianeta delle scimmie si è rivelata un successo (per molti versi inaspettato, visto che si temeva che il marchio fosse morto dopo il trattamento Burton). Questo è un tipo di operazione sano, che affonda le sue radici nello studio approfondito della materia originale e nella comprensione dei meccanismi con lo scopo non di scimmiottarli (volevo dire questa parola dall’inizio del pezzo, perdonatemi…), ma di replicarli migliori. Un’operazione molto diversa da tanti sequel, remake e reboot che si vedono in giro di questi tempi e che dovrebbe essere d’esempio per tutti. Non sperateci, non succederà. Ma ci resta pur sempre questa splendida trilogia.
The War – Il pianeta delle scimmie è disponibile in Dvd e Blu-ray dal 22 novembre
Foto: © Cheremin Entertainment/20th Century Fox
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