L'FBI chiude MegaUpload, gli hacker contrattaccano: il web nel caos
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L’FBI chiude MegaUpload, gli hacker contrattaccano: il web nel caos

Cronaca di una notte complicata: ecco l'ultima puntata dello scontro tra le istituzioni americane e la pirateria online. Dite la vostra!

L’FBI chiude MegaUpload, gli hacker contrattaccano: il web nel caos

Cronaca di una notte complicata: ecco l'ultima puntata dello scontro tra le istituzioni americane e la pirateria online. Dite la vostra!

Per il mondo del web sono giornate quanto meno frenetiche. L’ultima notizia in ordine di tempo è la chiusura di MegaUpload e MegaVideo da parte della polizia federale della Virgina, e l’arresto – in Nuova Zelanda, ma su ordine delle autorità americane – del suo fondatore Kim Schmitz.

Cos’è MegaUpload?
MegaUpload e i siti ad esso collegati forniscono un servizio di “hosting”. Questo significa che l’utente può utilizzare i server della compagnia per caricare nella rete i propri file. Il modo più semplice in cui questa operazione si attua (one-click hosting) è il seguente: io carico sul sito un file presente nel mio computer e il sito mi restituisce un indirizzo URL su cui il file è presente, e dal quale è possibile scaricarlo anche a utenti diversi da colui che l’ha caricato.

Stiamo parlando di attività pirata e violazione del copyright?
È chiaro che i file in questione possono essere anche file video e audio, quindi film e musica, ma non necessariamente. Ciò significa che il sito fornisce un servizio che di per sé è legale, ma che molto spesso è sfruttato per la condivisione di file “pirata”, ovvero replicati e diffusi senza preoccuparsi del diritto d’autore. Questo principio raggiunge nel caso di MegaUpload conseguenze estreme, visto che il sito gemello MegaVideo era diventato a tutti gli effetti un sito di streaming cinematografico.

Il gruppo Megaupload è l’unico che fornisce questo tipo di servizio?
Naturalmente no, ma è il più importante. Il sito principale è il 13esimo più visitato della rete e l’insieme dei siti del gruppo occupano il 3% della banda totale di internet. Ha circa 150 milioni di utenti registrati.

È insomma una classica “area grigia” dell’etica del web. Io fornisco un servizio legale, ma permetto agli utenti di utilizzarlo a loro piacimento, fino a che i miei domini finiscono per ospitare un’attività di scambio che lede le norme del diritto d’autore.
Per questo il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti ha deciso di bloccare 18 domini del gruppo, scatenando al contempo una specie di “caccia all’uomo” internazionale nei confronti dei principali esponenti del gruppo che ora rischiano fino a 20 anni di prigione.

Nell’ordinanza del Dipartimento, pubblicata sul sito ufficiale, è scritto quanto segue: “Seven individuals and two corporations (Megaupload Limited and Vestor Limited, NdR) have been charged in the United States with running an international organized criminal enterprise allegedly responsible for massive worldwide online piracy of numerous types of copyrighted works, through Megaupload.com and other related sites, generating more than $175 million in criminal proceeds and causing more than half a billion dollars in harm to copyright owners, the U.S. Justice Department and FBI announced today”.
Le parole chiave dell’ordinanza sono “allegedly responsible”, ovvero “presumibilmente responsabili”.

Quali sono state le prima conseguenze?
Al di là della reazione dei diretti interessati, che in generale fanno appello al DMCA sostenendo di essere legalmente inattaccabili, il vero boomerang è stata la risposta di Anonymous, ovvero l’etichetta sotto la quale agiscono i più abili hacker del pianeta. Come ritorsione nei confronti del provvedimento ai danni di MegaUpload, Anonymous ha messo fuori uso a tempo di record una serie di siti governativi e di vigilanza sulle leggi del copyright (anche non americani, come l’HADOPI francese), oltre a quelli delle principali major musicali (EMI, Universal Music), a quello dell’MPAA (Motion Picture Association of America) e a quello della RIAA (Recording Industry Association of America). E l’offensiva è tutt’ora in corso. Qualche ora fa ha anche reso pubblico via twitter modi e ragioni del suo piano d’attacco (cliccate qui per leggerlo direttamente).

È infine interessante notare che questi fatti seguono di appena due giorni lo sciopero senza precedenti del mondo del web, che ha coinvolto colossi come Google e Wikipedia, per protestare contro la discussione delle ormai famigerate due proposte di legge note come SOPA e PIPA, esse stesse pensate per aumentare gli strumenti a disposizione delle autorità nella lotta alla pirateria e in particolare ai siti registrati al di fuori del territorio USA per aggirare i divieti. Uno sciopero che ha messo una certa pressione sul Parlamento americano, rallentando notevolmente il percorso di approvazione dei provvedimenti.

Cosa ne pensate di questa lotta in atto tra le istituzioni americani il mondo del file sharing online? Se vi va partecipate al dibattito lasciando un commento qui sotto.

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