Come un Alien apocrifo, Life prende lo stesso immaginario e lo trasferisce dallo spazio profondo a una stazione orbitante intorno alla Terra, per ragioni di budget e ambizioni realiste. Non ci sono quindi astronauti che atterrano su pianeti lontani, ma una sonda che sta rientrando da Marte con un campione biologico da analizzare. Il primo contatto avviene in un vetrino, sotto l’occhio del microscopio, e l’alieno è una manciata di cellule. Poi cresce in fretta, si ribella all’equipaggio e comincia la conta dei cadaveri. Che ne sarà della bestiola visto che la Terra è a due passi?
Survival movie da camera, action teatrale ma con la vertigine dello spazio cosmico, il film di Daniel Espinosa (Safe House, Child 44) è una raccolta di cliché di genere dal primo all’ultimo minuto. Ha due meriti veri e un problema: il primo è di scegliere un immaginario adulto, di indugiare su dettagli grafici disturbanti, cioè di fare sul serio con l’horror; il secondo è di essere girato e musicato con eleganza, bei piani sequenza claustrofobici e poi campi lunghissimi sull’esterno dell’astronave che restituiscono allo spazio scenico le sue dimensioni, con suoni potenti e distorti che giovano alla suspense. Gli attori (Jake Gyllenhaal, Ryan Reynolds, Rebecca Ferguson e qualche altro caratterista che avete già visto in giro) sono bravi, e i sei personaggi in cerca del mostro hanno tutti la loro piccola quota di gloria drammatica.
Il problema invece è nella scrittura dei dialoghi, fiacchi e didascalici, e nelle scappatoie sceme del plot, che abbassano drasticamente l’età del target, e dimostrano che Arrival resta un caso raro. Da Passengers a Life la sensazione è sempre che si voglia prendere due piccioni con una fava, spaventare con le immagini e rassicurare con le parole, tenere lo spettatore al guinzaglio, attirare i genitori in sala ma puntare in realtà sui loro figli adolescenti. Manca forse questo alla sci-fi americana oggi, il coraggio di rinnovare il proprio linguaggio, di lasciare le domande inevase, di sperimentare destini alternativi per i suoi interpreti: la traduzione del mistero dell’universo in qualcosa di più che una nuova morfologia per i suoi mostri.
Life non ci prova nemmeno, ma garantisce un’ora e mezza di ottimo intrattenimento da B movie con un budget da film di serie A, e un epilogo da applausi: non è moltissimo, ma di questi tempi non è certo poco.
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