Con Amori che non sanno stare al mondo, presentato in Piazza Grande a Locarno 70, la regista Francesca Comencini, autrice anche del libro da cui il film è tratto, ci porta all’interno dello stream of consciousness di una donna, Claudia, alle prese con le conseguenze di un amore finito.
Sola, dolorante, e ancora dipendente dall’ex compagno, Claudia si attacca con tutte le sue forze ai ricordi, e grazie ai flashback e ai suoi pensieri in voice over la Comencini trascina lo spettatore nel passato, in un racconto a mosaico che mostra prima l’avventura, l’incontro, l’innamoramento, e poi la fine.
Mentre ripercorriamo tappe più o meno significative della sua storia già trascorsa, cominciamo a scoprirne anche il futuro: la vita della donna, professoressa universitaria, prosegue tra atti di ribellione spicciola, momenti imbarazzanti e nuove scoperte, tra cui la conoscenza di una sua studentessa che la sera lavora come ballerina in un night club.
Francesca Comencini scrive fitto ma sa anche affidarsi all’interpretazione lauramorantesca di Lucia Mascino, bravissima nel saper reggere la maschera grottesca del suo personaggio; al netto di qualche passaggio mal calibrato, il saliscendi emotivo che accompagna la fine di ogni storia trova una sua verità nei momenti di grande forza e di grande debolezza in cui vengono allo scoperto le luci e ombre di se stessi.
Per questo Flavio (Thomas Trabacchi), l’uomo che l’ha lasciata, non può che essere ridotto a un pretesto, il simbolo d’una certa mascolinità colta e seducente che continua a mietere vittime ma per la quale si iniziano a produrre anticorpi.
Unica nota davvero dolente la scena d’amore saffico tra Claudia e la studentessa di cui si invaghisce. L’incapacità tutta italiana nel girare scene d’amore gay ha probabilmente radici culturali profonde: il risultato è quasi sempre una specie di patinata ostentazione del proibito, invece di squarci credibili di intimità.
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