In seguito a un misterioso sconvolgimento, il mondo come lo conosciamo oggi è finito. La natura si è ripresa prepotentemente il pianeta e ora la giungla riveste tutta la terra. Dalle macerie del mondo che fu, una nuova società sta cercando di risorgere. Si tratta de “L’Istituzione”, i cui adepti cercano di ripristinare l’ordine precostituito imponendo al popolo libero della giungla il loro concetto di diritto. Ma c’è chi si oppone con forza al loro processo di “civilizzazione”: i dissidenti stanno preparando la loro rivoluzione.
Il nuovo film del regista di animazione Alessandro Rak (L’arte della felicità, Gatta cenerentola), Yaya e Lennie – The Walking Liberty, presentato in Piazza Grande allo scorso Locarno Film Festival, è la storia di due spiriti liberi in cerca del loro posto nel mondo: Yaya (Fabiola Balestrieri), una ragazza dal carattere ruvido e dallo spirito indomito, e Lennie (Ciro Priello dei The Jackal), un giovane uomo alto più di due metri e affetto da un ritardo mentale.
Si tratta di una fiaba ambientata in un futuro post-apocalittico in cui Napoli e il mondo intero, a seguito di una serie di catastrofi ecologiche, si sono tramutati in una foresta impenetrabile sulla quale erigere una (nuova) civiltà. Per i due protagonisti c’è una “terra della musica” da raggiungere, ma anche la minaccia di una militarizzazione che tallona i fuggiaschi e intende riportarli alla base.
L’istanza ecologista è evidente, così come il desiderio di fare dell’animazione un territorio d’elezione per esplorare elementi visivi, ambientalisti e politici sottratti ai parametri pigri e al ribasso di tanto cinema conformista e “in carne e ossa” di casa nostra. Rak, da questo punto di vista, si conferma un robusto tessitore d’immaginari, a suo agio tanto con la componente puramente dinamica dell’azione quanto con i risvolti più metaforici, al servizio di un disegno d’insieme al contempo livido e lussureggiante, tanto nelle rovine sopravvissute a tutto – anzitutto a se stesse – quanto nell’esplorazione di una vegetazione ancora verdeggiante nonostante tutto (per dirla con le parole del regista, «un ground zero per osservare in maniera cruda la genesi dei rapporti tra le persone»).
Yaya e Lennie è però soprattutto una parabola sull’insidie del progresso in un microcosmo selvaggio e rovesciato, dove la ribellione coincide con i moniti umanisti dell’esplicitamente evocato Il grande dittatore di Charlie Chaplin, spogliati di retorica e caricati di una dimensione museale conficcata tra le macerie. La cura tecnica della factory napoletana di Rak, la Mad Entertainment, asseconda in tal senso anche gli squarci più spericolati, traghettando l’impianto narrativo verso echi mitologici e partenopei e facendo un lavoro sulle voci che è a tutti gli effetti una direzione d’attori e una capitalizzazione di talenti, da quelli più in rampa di lancio alle vecchie glorie (come ad esempio la voice over di Lina Sastri, incaricata di tessere le fila di un intero immaginario, e Francesco Pannofino che doppia un rivoluzionario argentino, Rospoléon, con la scritta “D10S”, in omaggio a Diego Armando Maradona, tatuata sul braccio).
Foto: Mad Entertainment/Rai Cinema
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