Lontano lontano: Giorgio Colangeli ci racconta il nuovo film di Gianni Di Gregorio
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Lontano lontano: Giorgio Colangeli ci racconta il nuovo film di Gianni Di Gregorio

La nostra intervista all'attore romano, tra riflessioni sul ritmo della vita e del set, memorie d'attore e ricordi del compianto Ennio Fantastichini

Lontano lontano: Giorgio Colangeli ci racconta il nuovo film di Gianni Di Gregorio

La nostra intervista all'attore romano, tra riflessioni sul ritmo della vita e del set, memorie d'attore e ricordi del compianto Ennio Fantastichini

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Giorgetto (Giorgio Colangeli) e il professore (Gianni Di Gregorio) sono amici da sempre. Tra un bicchiere di vino (bianco) e una passeggiata a Trastevere discutono della pensione che non basta mai e che probabilmente dovrebbero spendere altrove, in un paese straniero in cui la vita costi meno e il ritiro sia più dolce. A loro si aggiunge Attilio (Ennio Fantastichini) che una pensione non ce l’ha ma sopravvive restaurando mobili fuori porta. Dopo aver consultato un “esperto” di pensioni statali all’estero (Roberto Herlitzka), optano per le Azzorre, ma sganciarsi dai luoghi del loro quotidiano è molto più difficile di quanto tutti e tre sono disposti ad ammettere. 
 
In occasione dell’uscita in sala di Lontano lontano (qui la nostra recensione), il nuovo film di Gianni Di Gregorio che offre l’ultima interpretazione sul grande schermo di Ennio Fantastichini, abbiamo intervistato l’attore Giorgio Colangeli. Nato a Roma nel 1949, Colangeli vanta una lunga carriera cinematografica, televisiva e teatrale (ma note sono anche le sue partecipazioni a diversi cortometraggi a sostegno di tanti giovani registi), che l’ha portato a vincere un Nastro d’argento come miglior attore non protagonista per La cena di Ettore Scola, uno dei suoi primi film, e un David di Donatello nella stessa categoria per L’aria salata di Alessandro Angelini. In molti lo ricorderanno anche ne Il divo di Sorrentino, nel quale interpretava il politico Salvo Lima, nell’intenso La nostra vita, accanto ad Elio Germano (una delle sue migliori interpretazioni), nella miniserie Non è mai troppo tardi, nella fiction tv Braccialetti rossi e nella produzione Rai Tutto può succedere
 

Com’è stato coinvolto in questo progetto?

Nella maniera più tradizionale possibile. Gianni mi ha convocato per un provino ma io non avevo mai visto nessun suo film, nemmeno il celeberrimo Pranzo di ferragosto (nel 2008, ndr) di cui all’epoca della sua uscita si era parlato molto. Ci siamo incontrati ed è successa quella cosa che con Gianni succede un po’ a tutti: dopo cinque minuti che ci parli hai già la sensazione di conoscerlo da sempre, come se aveste condiviso anni di vita e viaggi insieme.

In Lontano lontano si percepisce una forte componente di familiarità tra i personaggi. Come l’avete ottenuta?

Non è stata una ricerca, ma è nata dalla sola disponibilità di tutti: nessuno si è sottratto dalla facilità di intrattenere dei rapporti, di parlare e scherzare con complicità. A Gianni mi univa anche un dato anagrafico: siamo entrambi del ’49 e siamo nati a pochi mesi di differenza l’uno dall’altro. Lui è di Trastevere, ci è nato e ci vive da sempre, mentre io vi ho vissuto negli anni in cui da insegnante sono diventato attore, per cui è un pezzo di Roma importante anche per la mia biografia. Ennio invece era una persona alla quale era impossibile sottrarsi: espansivo ma anche irruente, con lui l’alternativa era rimanere e stare alle sue esigenze oppure puntare i piedi e andarsene. Era senz’altro un uomo da prendere a piccole dosi. La differenza tra un gatto che ti fa le fuse e un cane affettuoso dopotutto è che il cane è più impegnativo, gli devi stare dietro, come ai ragazzini.

Quale pensa sia il segreto del tocco del cinema di Di Gregorio e delle sue peculiarità?

Gianni ha un grande spirito di osservazione e una spiccata propensione all’ascolto. Ha una grande memoria di quello che vede e vede e utilizza questo materiale anche quando lavora con gli attori. Non ricordo che mi abbia mai chiesto qualcosa di preciso, eppure mi sono sentito sempre decifrato da lui.

Come ha lavorato al personaggio di Giorgetto, che è anche suo omonimo?

Non era semplice perché è ispirato a er Vichingo, un amico d’infanzia di Gianni e un’istituzione di Trastevere presente in tutti i suoi film. Se non fosse morto avrebbe fatto anche Lontano lontano. Mi sono documentato su di lui su internet e mi sono affidato a due paginette redatte anche dal co-sceneggiatore del film, Marco Pettenello: una sorta di commemorazione commossa che ho letto più volte durante le riprese. Era un uomo che nella vita non ha fatto nulla di straordinario: stava sempre al bar, beveva, parlava e ascoltava, eppure al suo funerale vennero più di duemila persone, fu un vero evento a Trastevere. Questo scritto mi ha molto rassicurato sul fatto che, anche facendo poco o nulla come attore, potevo comunque lasciare il segno e fare qualcosa di significativo nel rappresentare quest’uomo che l’ha lasciato il segno vivendo insieme agli altri con semplicità. Quel paio di pagine mi ha aiutato e confortato tantissimo, anche perché il mio personaggio è il più evanescente dei tre: quello di Gianni ha un passato da insegnante di latino e anche quello di Ennio ha una figlia e una vita avventurosa alle spalle, mentre il mio Giorgetto è più imprendibile.

Nel film si respira un’atmosfera tenue e ovattata, di dolce rimpianto, in cui non c’è mai alcuno strepito.

Il punto è che Gianni si dà una scansione degli eventi che non ha nulla a che vedere con i tempi tradizionali con cui di solito si fa cinema. Ciò consente un’attenzione ai dettagli, alle piccole cose e Gianni è così anche nella vita: quello che fa non lo fa mai in maniera superficiale e questo suo atteggiamento al cinema produce quasi una dilatazione, come se ciò che avviene davanti ai suoi occhi accadesse al rallentatore e generasse un’affettuosa osservazione della vita così com’è, come appare tutti giorni sotto il portone di casa e al tavolino di un bar. I personaggi di Gianni si muovono tutti in questa specie di acquario: non è che tutti si vogliono bene per forza, ma nel calore e nella solidarietà dei gesti c’è comunque un sentire comune, un percepirsi accolti da un occhio che ti guarda con affetto, comprensione e senza alcun giudizio. Nel film nessuno viene giudicato, nemmeno i poliziotti che con violenza sbaraccano gli ambulanti.

Anche la Roma del film è tiepida, antica, sostenibile, molto distante dal modo in cui i suoi abitanti e l’immaginario comune sono soliti pensarla e viverla oggi.

Visto che ci serviva una piazza deserta abbiamo girato nella piazza davanti Santa Maria in Trastevere alle cinque del mattino, nel momento in cui i bar aprono, i netturbini lavorano e la città non è ancora invasa dalla vita della gente a pieno regime, che viene fuori nel momento in cui Roma si è svegliata del tutto. Il cinema ti obbliga a vivere momenti del genere e te ne fa anche dono: sono attimi che nel quotidiano magari non sperimenteresti, anche perché dovresti alzarti alle prime luci dell’alba, ma quelle passeggiatine notturne e solitarie mi hanno dato immediatamente la sensazione di lavorare a un bel film. Ho pensato che, se stavamo girando in quel modo, quest’approccio ci avrebbe portato a quel ralenti emotivo di cui ti parlavo in precedenza. In Lontano lontano c’è sicuramente un po’ di malinconia e rimpianto per una città che anni fa viveva ritmi meno violenti, ma non trovo che sia una tragedia: Roma è rimasta Roma, non è diventata New York. L’hardware della città è rimasto sempre quello che racconta Gianni, è cambiato il software. Ma Roma è sempre a portata di mano e nulla ci vieta durante le nostre giornate di ritagliarci anche solo cinque minuti per viverla in tranquillità.

Cosa ne pensa dello sguardo di Gianni sull’anzianità? Nella sua delicatezza mi sembra anche molto preciso, dotato di una prospettiva molto umana e nitida.

Credo che il film racconti anche l’infantilismo di questi personaggi. Una guida nell’interpretare il mio Giorgetto era pensarlo come un bambino e anche il personaggio di Ennio è molto infantile. “Rimbambirsi”, dopotutto, vuol dire proprio “ritornare bambini”, in virtù di un modo circolare in cui ritorni da dove sei partito. Per questi uomini non c’è grande possibilità di allontanarsi dalle loro vite, anche se Ennio dice di averlo fatto anni prima andando in Afghanistan in moto. Il viaggio, per loro, è anche scoprire cose di sé e degli altri che non sapevano: lo vediamo nel modo in cui Attilio frequenta la figlia, in quello in cui il professore si ricompra i libri e parla con una donna. La vita di Giorgetto è più vuota in apparenza ma non può rinunciare al suo bar per raccapezzarsi, altrimenti non saprebbe dove andare visto che, come si dice nel film, “non è mai uscito da Porta Settimiana”.

C’è qualcosa del personaggio di Giorgetto in cui si rivede?

Credo che molto del suo modo di stare al mondo, estremizzando, possa essere considerato una metafora del mio mestiere d’attore. Si tratta di un lavoro in cui si osserva molto, nel quale si fa nulla sul serio e molto per finta. Mi piacevano troppe cose per farne una sola nella vita e quindi ho scelto una professione che mi permettesse di cambiare ogni volta. A volte mi capita di pensare a qualche attività e di dire sempre: “Che bello, avrei voluto farlo io”. Invece passo la vita a osservare e poi emulare e quest’aspetto è anche alla base della mia intesa con Gianni. Se pensi a un viaggio in treno, e non hai molta voglia di arrivare a destinazione, non c’è bisogno nemmeno di parlare coi tuoi vicini di posto, tante sono le cose da osservare e tentare di indovinare. Un po’ come Giorgetto e il suo bar: il posto al bar è come una poltrona in prima fila a teatro, il cui il palcoscenico è la strada.

In chiusura vorrei chiederle un suo ricordo di Ennio Fantastichini legato al set di Lontano lontano, se ha voglia di condividerlo.

Ennio era, come Attilio, un appassionato di oggettistica antica e un grande frequentatore di Porta Portese. Una mattina siamo andati insieme al mercato e ogni tanto c’era qualcuno di quelli col banco che gli si avvicinava, c’era una grande familiarità e confidenza. In una scena in cui diamo dei soldi in maniera sbrigativa e brusca al ragazzo del Mali, Abu, e lui si accorge che dopo che noi siamo partiti col furgone che quella scatoletta è piena di denaro, stando alla sceneggiatura dovevamo fare solo un rapido gesto di saluto, un cenno e via andare. Ennio invece si protese fuori dal finestrino, e gli fece una carezza.

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