In mezzo alle tantissime uscite a fumetti distribuite dalle più svariate case editrici italiane, al Lucca Comics & Games ce n’è una che è stata direttamente prodotta… dal Lucca Comics.
Si tratta di Max Forever – All Stars, un fumetto scritto e disegnato da Roberto Recchioni a partire dagli spunti forniti da Max Pezzali, con il quale esiste una solida amicizia, e soprattutto dalle canzoni storiche degli 883.
L’albo nasce per lanciare la tournée negli stadi Hits Only, prevista per l’estate 2024, ma durante la chiacchierata tra Pezzali e Recchioni si è parlato in realtà poco dell’albo e dei live che verranno, e molto della carriera del cantante e delle sue passioni a fumetti. Ecco alcuni degli estratti più significativi delle risposte date da Max.
L’ispirazione
«All’inizio soprattutto ci caratterizzava una difficoltà a scrivere canzoni “eteree”, cose che io non potessi visualizzare. Dovevo immaginare uno storyboard della canzone, prima di scriverla. Oggi è più consueto, al tempo meno. Una scrittura visuale. In questa logica i miei personaggi sono “veri”. Sono quelli che mi tengono attaccati al mio mondo»
Una vita “normale”
«Le persone credono che quando diventi famoso entri in una dimensione in cui non sei più in contatto con la realtà. In realtà accade solo se quella fuga l’hai sempre desiderata. Io invece sono un timido, non ho mai desiderato la notorietà, mi sono sempre ritagliato dei pezzi di anonimato. Poi vivere in una piccola città ti aiuta, qualsiasi cosa fai dopo poco viene a noia a chi ti circonda, a chi vedi tutti i giorni».
Punti di vista
«La cosa importante è avere un punto di osservazione. Se sono gli altri a osservare troppo te, e tu invece non ce la fai, non funziona più, la creatività viene a mancare».
Precarietà
«C’è stato un periodo in cui la critica soprattutto pensava che sarei sparito in fretta. Ma quando le persone non ti celebrano, e anzi pensano che scomparirai, quello ti da un senso di precarietà, che in fondo è un dono».
Il kit nostalgia
«Solo il tempo può dire se le tue canzoni “rimangono” o non rimangono, cioè come vengono processate da chi ti ascolta. La domanda è: alla fine diventano parte del bagaglio della nostalgia, del kit nostalgia?»
Meglio tardi che mai
«Fortunatamente o sfortunatamente, ho sempre fatto i tour nei palazzetti, non sono mai sparito. Se “puoi” fare i palazzetti, fai i palazzetti, parliamoci chiaro. Adesso sono passato alle arene, agli stadi, al Circo Massimo… L’anomalia è esserci arrivati molto tardi nel mio percorso».
Miopia e serenità
«Sul palco non ci vedo più tanto bene, ma questa visione “impressionista” aiuta a non focalizzarsi troppo sui dettagli, e quindi a prendere le cose in modo più sereno».
Hits Only
«Mi è capitato tante volte di andare ai concerti dei miei artisti preferiti, e ritrovarmi che quello ti fa due palle così con l’ultimo album. E tu dici, “ma come, e i pezzi più famosi”? Magari vengono tutti relegati in un medley che dura 5 minuti. Quindi in questo tour volevo dare ai fan tutte le hit, quelle che mi hanno portato fin qui».
L’importanza della band
«Quando fai 33 date con le stesse persone, se non vai d’accordo davvero finisci per odiarti. A me piace dormire e mangiare con la band. Le esperienze che fai assieme sono fondamentali. Senti questa: a Firenze, una volta, uno della band ha avuto bisogno dell’Imodium. L’Imodium in tour è fondamentale, più del paracetamolo, ci siamo capiti. Quella volta ci domandavano: “Ce la farà?” A un certo punto, mentre va tutto bene, su Sei fantastica, nel momento in cui canto “Una scarica…”, il tastierista mi fa un cenno con il gomito… la “scarica”, hai capito? Pensavo di non riuscire più ad andare avanti per la ridarella…. Ho dovuto concentrarmi su cose brutte…».
Grandi storie, piccole storie
«Chi non ha la fortuna di aver vissuto grandi storie, ma solo storie quotidiane, deve saperle raccontare. Da ragazzo, il bar del paese era il palcoscenico su cui provavi le tue storie, dovevi raccogliere raccogliere qualche sorriso durante l’aperitivo, dal pensionato che gioca a carte al più giovane. È stata una grande scuola. La narrazione è tutto».
Hanno ucciso…
«Spiderman per me rappresentava il supereroe con super problemi, problemi che conoscevo anche io… ma al Queens. Cimiteri e villette. La vera New York vista solo da lontano. Mi pareva un po’ sfigato, inadeguato, e mi identificavo. Parlare di chi non raggiunge gli obiettivi spesso è più poetico, nelle storie di successo non mi identificavo».
I primi fumetti
«Io sono della Generazione X. Da piccolo c’era poca televisione, così ero ossessionato dai fumetti della Corno, che pubblicava la Marvel. I nomi erano italianizzati, la gente non sapeva l’inglese. Sugli albi, quattordicinali, c’era una specie di gioco dell’oca che serviva a fornire le date di uscita dei fumetti futuri. In provincia arrivavano un giorno dopo le grandi città. Erano il mio unico modo di evadere. Quando ho conosciuto a vent’anni la prima persona di New York, un DJ, gli ho chiesto se nella sua città i palazzi erano davvero così alti come nei fumetti di Spiderman. Mi ha preso per matto. Vidi a New York il primo Spiderman di Raimi, un’emozione che metto poco sotto… la nascita di mio figlio! Fu come entrare nella mia fantasia. Assieme al primo Batman di Burton, nel 1989, è il mio ricordo cinematografico più caro. Hanno ucciso l’uomo ragno l’ho scritta successivamente, in un momento in cui gli appassionati parlavano solo di manga. I ragazzi si erano disamorati dei supereroi. E per me era un dramma».
Impegnati, Superman!
«Mio figlio è adolescente, l’età in cui apprezzi Deadpool. Io invece sono malato di Ghost Rider. E infatti cinematograficamente sono frustrato, non ha mai avuto un adattamento buono. Mi piace perché è coatto, anni ’70, con lo sguardo che ti fa fare penitenza… Poi sono diventato pazzo per il Punisher, uno psicopatico, ma che proprio per questo permette un’analisi profonda. Il Punisher di Garth Ennis… Mamma mia. So che è qua a Lucca, ma io di Garth Ennis ho paura, davvero, è un timore reverenziale, vedo il genio che arriva dove io non arriverei mai. E poi Daredevil… Tutto il mondo crime della Marvel insomma, quello meno fantasy. Poi Batman, certo, quello di Frank Miller… So che anche lui è qua, però Miller non mi terrorizza. Il resto della DC mi è sempre rimasto come distante. Li vedevo come supereroi speculari a quelli che già conoscevo. Inoltre ho sempre avuto un’idiosincrasia per Superman. Sei la creatura più forte dell’universo, cazzo, impegnati di più! Risolvi un po’ di problemi! Se li aveva Spiderman quei poteri, eravamo a posto!»
Fumetto e tour
«Il fumetto era un modo perfetto per raccontare l’arrivo di un tour negli stadi, con un linguaggio che mi appartiene: colori primari e immagini vivide. Un linguaggio “estremo” ma perfettamente intellegibile».
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Foto: Lucca Comics & Games / Pier Marco Tacca / Getty Images
Fonte: Lucca Comics & Games
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