Nei giorni in cui la produzione di The Batman si è vista scossa dall’abbandono alla regia di Ben Affleck e da una sceneggiatura riscritta (per mano di Chris Terrio), capita che in prima serata ripropongano L’Uomo d’Acciaio, il film che nel 2013 ha dato il la all’universo dei DC Films. L’ho rivisto non perché mancassero alternative, ma perché da sempre sono convinto che sia stato eccessivamente attaccato. E a oggi ritengo che, nonostante tutto, sia il miglior capitolo del franchise di cinecomic Warner.
Non è un film perfetto, ma oggi riesce forse ad assumere più solidità rispetto a quattro anni fa, alba di questo nuovo sistema condiviso di superhero movie. Tra le tante critiche, mi ricordo come sia stato accusato di puntare su un’introspezione psicologica disordinata e poco affine a Superman, di smarrire la narrazione in mezzo ai tanti flashback, e di avere un finale quasi blasfemo per i fan del kryptoniano, con Kal El che uccide Zod, la sua nemesi. Non che non ci sia del vero, ma ho una chiave di lettura differente.
Dell’Uomo d’Acciaio apprezzo che sia un’origin story che fin dall’apertura si presenta come un reboot deciso e personale. L’inizio ha atmosfere da fantasy dark, con Krypton sull’orlo del collasso: è un altro mondo rispetto a quella specie di castello di ghiaccio visto nel Superman di Donner, così come il ritratto del Jor El di Russell Crowe, scienziato-guerriero, è lontano anni luce da quello di Marlon Brando nel film del ’78. Ok, altri tempi direbbe qualcuno, ma lo erano anche nel 2006 per Superman Returns e Bryan Singer non si era poi distanziato molto dal modello originale.
La narrazione non lineare è invece una scelta che racconta “a episodi” la classica presa di consapevolezza di Clark Kent dei propri poteri da bambino, adolescente e adulto. È uno schema che salta avanti e indietro nel tempo, ma alla fine resta coerente (eccezion fatta per le assurde dinamiche della morte di Kevin Costner, volato via insieme a un twister improvviso: scena insalvabile).
Da tutto questo, il Superman di Henry Cavill guadagna una profondità psicologica mai avuta prima, dettaglio che mi ha fatto apprezzare un supereroe che ho sempre considerato mortalmente noioso. Merito anche del villain di Michael Shannon: il suo Zod è un tiranno che agisce con lo scopo di salvare ciò che rimane del suo popolo, ormai quasi estinto. Fatto che non lo rende mai disprezzabile in toto e, quantomeno, motiva le sue azioni, a differenza del Lex Luthor di Jesse Eisenberg, di cui sto ancora cercando di capire parecchie cose.
Il terzo atto è fatto solo di scene di lotta e distruzione? Beh, considerando che siamo in un film di supereroi e che nei primi due segmenti di botte non se ne vedono, non grido allo scandalo. E non lo faccio neppure di fronte al tanto sacrilego finale, massacrato perché viola uno dei principi fondamentali di Superman, non uccidere. Mi rimetto alle parole di Goyer, in questo caso: «È un’origin story e abbiamo voluto spiegare perché Superman abbia maturato la decisione di non fare più del male a nessuno». Per me non fa una piega, piuttosto ho seri problemi quando mi si tira in ballo la mamma per trasformare in migliori amici due che un attimo prima si stavano ammazzando a vicenda (vedi sempre Dawn of Justice).
Insomma, credo che L’Uomo d’Acciaio avesse davvero le basi per costruire un universo di cinecomic alternativo a quello Marvel, in toni, personaggi, spettacolo visivo e tematiche. E invece Warner ha perso la strada: forse la grossa pressione ha reso BvS un controverso mix di buone intenzioni e cattiva esecuzione, e Suicide Squad di David Ayer, che poteva davvero aggiungere qualcosa di nuovo al genere con antieroi fortissimi e atmosfere urbane, si è smarrito in un film indefinito, che sembra aver cambiato rotta in corso d’opera.
Ora pare che la major voglia persino virare su capitoli più umoristici, distaccandosi ancora di più da quanto fatto sinora. E io sono sempre più perplesso per il futuro. La presunta intoccabilità Marvel non c’entra nulla, il solo pensiero di un Batman targato Casa delle idee mi fa rabbrividire. Serve però riordinare le idee, recuperando un’identità vera e non per questo mai mutevole. Mi chiedo solo se Snyder e soci siano ancora in tempo.
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