Metal Gear Rising: Revengeance: intervista con Hideo Kojima, "il Kubrick dei videogiochi"
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Metal Gear Rising: Revengeance: intervista con Hideo Kojima, “il Kubrick dei videogiochi”

Il game designer e inventore della saga di Metal Gear ha presentato a Milano l'ultimo capitolo della saga di Solid Snake, che festeggia quest'anno il venticinquesimo anniversario

Metal Gear Rising: Revengeance: intervista con Hideo Kojima, “il Kubrick dei videogiochi”

Il game designer e inventore della saga di Metal Gear ha presentato a Milano l'ultimo capitolo della saga di Solid Snake, che festeggia quest'anno il venticinquesimo anniversario

Venticinque anni. Tanti ne sono passati dall’uscita di Metal Gear per MSX, primo capitolo di quella che sarebbe diventata una saga lunga un quarto di secolo e ventisei episodi, che hanno attraversato i decenni e le console fino a culminare con lo strepitoso Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriot, uscito per PlayStation 3 nel 2008. Una sequenza di giochi che hanno segnato la storia del mezzo, e che non sembra avere intenzione di interrompersi: uscirà proprio oggi nei negozi, infatti, Metal Gear Rising: Revengeance, spin-off a tinte action e con protagonista uno dei personaggi più controversi dell’intera saga: Raiden, co-protagonista di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty. Vi avevamo già mostrato il primo trailer ufficiale del gioco qualche tempo fa, ma oggi abbiamo avuto la fortuna di assistere alla presentazione di Revengeance con un’ospite d’eccezione: Hideo Kojima in persona, cioè l’inventore della saga e una delle figure creative più importanti nel mondo dei videogiochi. Superstar di livello internazionale, inavvicinabile o quasi, Kojima è da sempre molto ammirato anche al di fuori dell’ambiente videoludico: le sue storie sono sempre raccontate con gusto altamente cinematografico, tra citazioni più o meno esplicite, grande regia e una capacità unica di creare una storia e un universo coerenti e in costante evoluzione.

Oggi Kojima era a Milano, ospite del The Space, per sottoporsi alle domande, diciamo così, particolari di un conduttore altrettanto eccezionale: Enrico Ghezzi, critico cinematografico sui generis che si professa grandissimo fan di Kojima e di Metal Gear: definisce il game designer «il Kubrick dei videogiochi» e confessa di aver passato ore e ore su YouTube a gustarsi le quasi mitologiche cutscene dei vari Metal Gear. La chiacchierata tra i due, tre quarti d’ora circa, è stata all’insegna della contaminazione tra cinema e videogiochi: pur con qualche barriera di comprensione, dovuta alla difficoltà di rendere in giapponese le labirintiche domande di Ghezzi, Kojima ha espresso due o tre opinioni particolarmente interessanti, dimostrando tra l’altro di avere il polso della situazione anche per quel che riguarda lo stato dell’arte del cinema. Si è parlato molto di tecnica e tecnologia: Kojima ha fatto notare come alcuni “trucchi” tipicamente cinematografici, come il piano sequenza, vanno persi nella transizione al mezzo videoludico; ecco perché la sua cinefilia si riflette soprattutto nei lunghi filmati che punteggiano i suoi giochi, o nei nomi di personaggi e luoghi.

Se l’aspetto più strettamente registico è difficile se non impossibile da replicare in un videogioco, Kojima è convinto che i games siano più avanti rispetto al cinema, soprattutto per quel che riguarda la resa 3D; intesa non solamente come “quella roba che si vede con gli occhialini”, ma anche, in particolar modo, alla percezione della tridimensionalità degli oggetti e dell’ambiente: qualcosa di impossibile da rendere al 100% al cinema, dove la scelta dell’inquadratura risiede tutta nelle mani del regista. A domanda specifica sulle immagini 3D al cinema – e sulla possibilità di integrare anche gli altri sensi nella visione in sala, come già si cercò di fare negli anni Cinquanta –, però, Kojima risponde che «non è lì che bisogna cercare la rivoluzione, ma nel framerate». Il designer è convinto che il futuro stia nell’aumento dei fotogrammi per secondo, sì da dar vita a immagini sempre più fluide e realistiche. «I videogiochi in questo senso sono già più avanti del cinema» ha aggiunto. «Lo Hobbit con i suoi 48fps sembrava già una cosa eccezionale, ma i videogiochi girano a 60fps da anni».

L’incontro, di fatto, si chiude qui. Già quel che vi abbiamo riportato finora è il risultato di un lungo e laborioso lavoro di crittografia e sintesi: non è mai facile cosa stia dicendo Enrico Ghezzi, e seguire il suo flusso di coscienza è un’impresa per gli astanti, figuriamoci per chi deve tradurre in giapponese il suo pensiero. L’ultima domanda del lotto, però, è talmente complessa – passa da Carpenter alla transustaziazione, dal teletrasporto a Titanic ai fantasmi – da raggelare definitivamente la traduttrice, che si deve avvalere di un ulteriore tramite per (non) capire quello che avrebbe dovuto chiedere a Kojima. Momenti bizzarri ai limiti della psichedelia, che fanno sorgere una domanda fondamentale: che senso ha, in un incontro così importante e nel quale si sarebbe potuto davvero approfondire il rapporto tra videogiochi, cinema e immaginario “kojimesco”, affidare l’intervista a un giornalista che spesso se non sempre è criptico ai limiti dell’irritante, e che peraltro di videogiochi non è propriamente un esperto? Non era meglio chiamare qualcuno che è cresciuto con il pad in mano e il lettore dvd sempre acceso, e provare a dare vita non a uno spettacolo ai confini con il cabaret, ma a una vera e propria intervista? Pazienza, ormai il danno è fatto, e comunque Revengeance è da oggi nei negozi: non è questo quel che conta davvero?

Qui sotto, il trailer di Revengeance montato da Kojima in persona

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