Se realizzassimo un sondaggio su scala internazionale tra tutti i fan, gli innamorati e i devoti di Studio Ghibli – lo Studio cinematografico specializzato in film di animazione fondato nel 1985 a Tokyo da Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Toshio Suzuki e Yasuyoshi Tokuma – chiedendo di scegliere quale sia in assoluto il titolo più commovente, toccante e struggente di tutta la filmografia, probabilmente i voti si distribuirebbero non uniformemente sui più diversi titoli, dal più recente capolavoro del Maestro Miyazaky Il Ragazzo e l’Airone del 2023 indietro nel tempo, fino a Si Alza il Vento del 2013. Ma se dovesse eletto un solo titolo in assoluto, in fondo non potrebbe che trionfare un classico ormai senza tempo: Una Tomba per le Lucciole, presentato nel 1988, scritto e diretto da Isao Takahata. Si tratta infatti di un’opera rivoluzionaria sotto i più svariati punti di vista: in quel momento storico, forse nessuno in Italia avrebbe mai neanche pensato che si potessero raccontare gli orrori, la disperazione e la fame della Seconda Guerra Mondiale in Giappone attraverso un linguaggio espressivo come quello dell’animazione classica, all’epoca comunemente definita con il termine cartoni animati. Una cosa da bambini, presentata dal pupazzo Uan, che si guardava in Tv nel primo pomeriggio. Infatti Una Tomba per le Lucciole, distribuito a livello internazionale insieme a Il mio vicino Totoro di Miyazaki, non venne all’epoca particolarmente pubblicizzato né riscosse grande successo, e in particolare nel nostro paese uscì solo anni dopo grazie a Yamato Video.
Se volete recuperare il film, oggi è disponibile in streaming sulla piattaforma Netflix con tutti i film prodotti da Studio Ghibli. Ma per molti anni, recuperare Una Tomba per le Lucciole è stato possibile solo procurandosi una copia del VHS pubblicato nel 1995. Una nuova edizione in DVD e Blu-Ray con un diverso doppiaggio italiano è stata poi proposta nel 2015 sempre da Yamato Video, e questa versione è uscita anche nelle sale cinematografiche per breve tempo come film-evento. Ma perché Una Tomba per le Lucciole può essere considerato a pieno titolo il film più commovente della casa di produzione giapponese? Per rispondere basterebbe forse rievocare anche solo la sequenza iniziale. Alla stazione dei treni di Kōbe, nell’isola di Honshū, in un tempo lontanissimo capitale della nazione, scopriamo infatti la presenza di un ragazzo, un mendicante dal viso sporco e gli abiti logori. Lo troviamo seduto a terra con il capo chino, e nell’indifferenza generale dei passanti, lo vedremo subito morire di fame. È il 21 settembre del 1945, il Giappone alleato di Hitler e Mussolini ha tragicamente perso la Seconda Guerra Mondiale. Ma per il momento noi vediamo solo questo povero ragazzo, che ormai non possedeva altro che una scatola di latta delle caramelle Sakuma Drops. Quando un inserviente della stazione arriva e la butta via, scopriamo che al suo interno non rimaneva altro che dei frammenti di ossa. E se solo leggendo queste poche righe avete già iniziato a piangere, avete fatto benissimo…
Attenzione! Il seguito contiene spoiler su Una Tomba per le Lucciole
Subito dopo la morte vediamo sopraggiungere il fantasma di una bambina, la quale prima salva la preziosa scatola di latta, e poi viene raggiunta da quello stesso ragazzo. Scopriamo così attraverso un lungo flashback che quel giovane ha avuto una vita e un nome, Seita, e una sorella molto più piccola, Setsuko. Torniamo allora indietro a Giugno del 1945, quando Seita che si vede costretto a scappare al rifugio antiaereo insieme al resto degli abitanti del villaggio, prendendosi cura della sorellina completamente da solo. Suo padre è arruolato nella Marina Militare Giapponese, ma intuiamo presto che sia ormai caduto in battaglia. I due fratelli per sfuggire ai bombardamenti si allontanano dalla madre e iniziano il loro lungo viaggio, rifugiandosi inizialmente da una zia. La bimba piange e chiede insistentemente della sua mamma ma la zia, fervente sostenitrice dell’Imperatore, sembra comunque accogliergli nel migliore dei modi. Quando i bombardamenti si fanno però più serrati e soprattutto il cibo inizia a scarseggiare, la donna si rivelerà invece oltremodo crudele. Ed è solo l’inizio delle difficoltà e le sventure che dovrà affrontare Seita lungo il suo viaggio, segnato da una miseria sempre più nera, ormai consapevole che sono rimasti soli al mondo. Eppure, disposto a tutto per strappare la sua sorellina, sempre più denutrita, da quella morte lenta e dolorosa.
Per la bambina, dopo aver visto morire la madre tra le fiamme di fronte ai suoi occhi, il fratello inventerà sempre nuove storie, perché possa crederla ancora viva. Arriverà a rubare del cibo dai campi dei contadini, venendo scoperto e malmenato, salvato solo dalla comprensione di un bravo poliziotto. E senza proseguire oltre, avrete già intuito che nell’incedere tragico, ineluttabile di questo grande capolavoro, nonostante gli sforzi sovrumani di Seita, la bimba sarà costretta a morire di fame, sempre davanti ai suoi occhi, mentre porge al fratello una polpettina che in realtà è fatta di fango. Alla fine di tutto, potremo vedere ancora i loro due fantasmi, anche ora che Kobe è una moderna, ricca e avveniristica metropoli, per sempre seduti su una panchina, circondati da quelle lucciole della campagna che tanto amavano. E se questo film prodotto nel 1988 da Studio Ghibli resta un classico imprescindibile, uno dei vertici non solo di Studio Ghibli ma della Storia del Cinema Drammatico in genere, non è solo per la sua capacità di rappresentare gli aspetti più crudi e intollerabili di qualunque guerra, del suo effetto sui civili inermi, e in particolare i più piccoli e disperati tra loro, attraverso il più autentico Cinema di poesia, teorizzato da Pier Paolo Pasolini proprio a breve distanza dal secondo dopoguerra. Ma è anche per la capacità di alternare tra i flashback momenti di brutalità e sofferenza, rappresentati senza filtri, come in un film Neorealista, senza escludere quelli di struggente, radicale tenerezza. E così capace di restituire Seita e Setsuko all’immortalità, quasi fossero l’immagine allegorica del Giappone del ’45 intero, e forse di tutte le guerre, dei milioni di vittime senza volto e senza nome, consegnate alle bombe o nella migliore delle ipotesi alla povertà, la miseria e la morte, come fosse un semplice, inevitabile danno collaterale.
Non sarà certo un caso allora che uno dei più celebri testi del corpus pasoliniano sia proprio La Scomparsa delle Lucciole. Il racconto del tramonto della civiltà contadina e i suoi valori, spazzati via da luci elettriche, dal nuovo mito di una modernità tecnologica senza memoria, e quindi senza progresso. Eppure, se parliamo del nostro cartone animato prodotto a Tokyo, il risultato è proprio un linguaggio audiovisivo nuovo, senza precedenti. Tradizionale nelle tecniche di animazione, narrativamente classico e insieme proiettato verso il futuro; quel futuro che gli stessi autori dello Studio Ghibli sapranno scrivere nei decenni successivi.
E voi cosa ne pensate? Qual è per voi il miglior film di animazione prodotto sa Studio Ghibli? Diteci la vostra, come sempre, nei commenti.
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