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Avatar, esperienza totale

Mentre è iniziato il conto alla rovescia per l’arrivo in sala del primo dei suoi numerosi sequel, ecco una riflessione sul perché il film di James Cameron, maggior incasso della storia del cinema, può anche essere considerato un classico, allo stesso modo di come lo furono i primi lavori dei Lumière

Avatar, esperienza totale

Mentre è iniziato il conto alla rovescia per l’arrivo in sala del primo dei suoi numerosi sequel, ecco una riflessione sul perché il film di James Cameron, maggior incasso della storia del cinema, può anche essere considerato un classico, allo stesso modo di come lo furono i primi lavori dei Lumière

A distanza di tredici anni dalla sua uscita, Avatar di James Cameron è una pellicola che genera ancora discussioni feroci tra gli appassionati di cinema.

Da una parte, c’è chi ne tesse le lodi per l’incredibile reparto visivo, per la capacità di trasformare un trucchetto da poco come la proiezione stereoscopica in uno strumento narrativo e per la costruzione di un mondo straordinariamente realistico e immersivo. Dall’altra parte, c’è chi lo biasima con ferocia per la semplicità della sua storia e per il fatto che, a stringere, non si tratta di altro che di una versione aliena di Pocahontas, con dei brutti gatti blu al posto nei nativi americani.

Nemmeno il suo primato come miglior incasso di sempre del cinema mondiale è esente da polemiche, dato che più di una voce contesta il record in quanto il costo del biglietto del film era più alto della media. Sia come sia, Avatar resta il film di maggior successo di tutti i tempi e quando Avengers: Endgame lo ha brevemente detronizzato, a Cameron è bastato rimandare la sua opera in sala (in periodo post-pandemico) per riprendersi la vetta, segno che il presunto disinteresse per il film, sviluppatosi dal giorno della sua uscita a oggi è, appunto, solo presunto. Ma il trionfo commerciale basta per definire Avatar “un classico”?

Difficile dirlo.

Una volta la classifica dei dieci maggiori incassi rifletteva forse meglio l’idea di “opera immortale” ma oggi quella top ten è composta da quattro film di  eroi (di cui tre sono sequel), dal più brutto degli Star Wars, dal remake in CGI di un film in animazione tradizionale, dal settimo capitolo di Fast & Furious e da due film che non fanno parte di un franchise, non sono remake, non sono tratti da qualcosa e che non hanno avuto sequel: Titanic e Avatar, tutti e due di James Cameron.

Anche sapendo che la condizione di “opera unica” di Avatar sta per cambiare (il secondo e il terzo capitolo sono già stati girati, e il quarto e il quinto sono in fase avanzata di sviluppo), resta il fatto che per più di un decennio è stata un’opera originale e unica, che ha tenuto testa all’arrembaggio dei grandi e strutturati franchise della Hollywood moderna, e forse questa cosa ha un certo valore.

Ma mettiamo da parte la questione del successo economico: Avatar è un buon film?

Per rispondere a questa domanda me lo sono rivisto. Ora, se c’è una maniera per mortificare l’opera di Cameron, quella maniera è fruirla su uno schermo casalingo. Questo dipende dalle dimensioni dello schermo, dall’assenza del 3D (a meno che non siate tra quelli che si sono lasciati prendere dalla fugace moda degli schermi stereoscopici casalinghi) e dal fatto che di Avatar (per scelta di Cameron) non esiste ancora un’edizione 4K. Eppure, anche nella più disagevole delle fruizioni,

Avatar rimane un’opera visivamente senza eguali che fa impallidire qualsiasi film moderno sotto il punto di vista degli effetti visivi. E per spiegare la sua eccellenza non basta dire che è un blockbuster che viene da un’epoca in cui Hollywood davvero non badava a spese quando si trattava di blockbuster, perché opere coeve a quella di Cameron e che hanno potuto godere di budget ugualmente faraonici, comunque non riescono ad eguagliarlo. Forse il film che più gli si avvicina nella sua magnificenza è Star Wars: Episodio III di Lucas, ma solo a sprazzi (nella incredibile scena d’apertura, per esempio).

Il fatto è che Avatar non è un film costruito attorno a una storia e poi reso bello dagli effetti visivi. Avatar è nato attorno ai suoi effetti visivi e poi gli si è data una struttura narrativa, facile e che disturbasse poco l’attenzione dello spettatore (che, inconsciamente, già la conosceva a memoria). Guardare il film di Cameron non è assistere a una narrazione in maniera passiva ma è fare un viaggio, entrare in un mondo, in maniera attiva.

Un mondo costruito con una attenzione maniacale, ossessiva al più insignificante dettaglio. Un mondo praticamente reale, in tutto e per tutto, solo che reale non lo è per niente. La verità è che Avatar non è nemmeno un film ma è un’esperienza e, come tale, va valutata, al punto che mi spingo a dire che la cosa che più gli somiglia non è Pocahontas, o Balla coi lupi, o Aliens – Scontro finale o Star Wars, ma L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei fratelli Lumière, quel film di trentacinque secondi che, per la prima volta, faceva identificare lo spettatore con la macchina da presa, trasformandola in uno strumento del dramma, tanto da spingere il pubblico a uscire dalla sala, per paura che la locomotiva li schiacciasse.

Adesso, vogliamo dire che quel girato dei padri fondatori del cinema non è un classico?

E, allora, lo è a pieno titolo anche Avatar, un film come nessun altro film, una nuova frontiera che solo Cameron sembra capace di raggiungere.

3 MOTIVI PER DEFINIRLO UN CLASSICO

–            L’ASPETTO VISIVO

–            IL REPARTO AUDIO

–            L’UTILIZZO NARRATIVO DELLA STEREOSCOPIA

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