Questo sarà l’ultimo appuntamento con questa rubrica perché, dal mese prossimo, mi dedicherò per qualche tempo ad argomenti più faceti.
È stato un bel percorso che mi ha permesso di chiarirmi le idee su cosa faccia di un film un “classico”, e il primo elemento delineato è stato il tempo. Decine di migliaia di film vengono girati ogni anno da oltre un secolo, eppure solo pochissimi vivono ancora dopo qualche decennio: il tempo è il miglior selezionatore di classici che ci sia. La qualità, molto meno, perché non è detto che i buoni film restino e che i cattivi scompaiano. Certe volte un film non riuscito si impone lo stesso nella coscienza collettiva mentre uno perfetto, no. Infine, un film classico è davvero tale, solo se resta vivo e se continua a parlare con il pubblico nel presente. Per tutti questi motivi, ho deciso di chiudere questa rubrica con quello che è, probabilmente, il film più impattante sul linguaggio cinema dell’ultimo mezzo secolo: Guerre stellari.
Girato tra il 1975 e il 1976, arrivato sugli schermi nel 1977, Guerre stellari (oggi conosciuto come Star Wars: Capitolo IV – Una nuova speranza) è stato creato da George Lucas che… No, scusate, non vi annoierò con le infinite storie sulla sua genesi, sul tipo di rivoluzione che ha portato nella maniera di realizzare i film quanto di venderli, sull’impatto culturale ed economico che ha avuto e sulla mitologia che ha saputo creare e che vive ancora oggi (più o meno). È Guerre stellari dopotutto: la sua storia la conosciamo tutti. Quello che farò, invece, è cercare di parlarvi di questo film semplicemente riguardandolo oggi, con lo sguardo più obiettivo che mi sarà possibile (per uno della mia generazione è difficile), per quello che è, valutandolo sulla base dei parametri esposti sopra. Intanto, partiamo dalla cosa più semplice: ha resistito al tempo? Sì, senza alcun dubbio: continua a essere proposto e visto, anche perché capitolo fondante di una storia più grande (e, quindi, indispensabile per fruire del suo universo narrativo).
La seconda domanda riguarda la qualità: è ancora un buon film? Qui le cose si fanno più complicate perché la pellicola girata da Lucas ha sicuramente delle qualità indiscutibili, sia nel contesto del periodo in cui è uscito, sia nell’ambito del nostro presente, ma ha pure parecchi difetti. Scrittura, messa in scena, interpretazioni, ritmo, sono elementi del film che in certi momenti (frequenti) funzionano alla grandissima, ma che in qualche frangente, invece, si inceppano in maniera vistosa.
Le ragioni sono ovvie: l’inesperienza del regista, un budget non adeguato, tempi ristretti, condizioni di riprese scomode e un cast attoriale che non aveva la minima idea di cosa stava davvero facendo, e Lucas ha tutte le scusanti del mondo per una serie di difetti comunque veniali. Ma ci sono e non si può far finta di non vederli. Ultima questione: Una nuova speranza è ancora materia viva? Difficilissimo rispondere perché, anche se prendiamo in esame l’ultima versione distribuita (fino alla inevitabile prossima), con le immagini ripulite, gli effetti in digitale aggiunti e il sonoro che spacca le casse, Episodio IV è un film degli anni Settanta, e si vede. Si vede molto di più che per Lo squalo, per citare un altro blockbuster che cambiò Hollywood in quegli anni (ma questo perché George Lucas non ha quella qualità registica e quell’occhio universale che ha, invece, Steven Spielberg). E si badi, non sto parlando degli effetti speciali, sia chiaro (che sono forse la cosa che ha retto meglio il tempo, anche al netto degli interventi postumi) quanto della grana della fotografia (seppure ripulita in digitale) di Gilbert Taylor, delle inquadrature e delle transizioni non mutuate (copiate) da altre opere, dei tempi di recitazione, del montaggio, del ritmo, del modo di utilizzare la (splendida) colonna sonora.
Tutti questi elementi concorrono a datare il film come il carbonio 14 o i cerchi del tronco degli alberi. La verità, pura e semplice, è che Una nuova speranza è un film dei tardi anni Settanta, più vicino per estetica e grammatica alla New Hollywood che, per dire, all’Impero colpisce ancora, secondo capitolo della saga, uscito appena tre anni dopo, ma già appartenente a un linguaggio di un’altra epoca. Questo è un problema o un qualcosa che svilisca il valore dell’opera? Assolutamente no. Ma è un fatto, e come tale va preso e trattato. Semplicemente, oggi non si può mettere un ragazzo di vent’anni davanti a Episodio IV e aspettarci che lo percepisca come qualcuno che lo ha visto cinquant’anni fa.
Mezzo secolo fa, Guerre stellari era il futuro, oggi è un film un poco noiosetto e, a tratti, sciocco (l’ho detto: eresia!). Ma quindi, a conti fatti e al netto della sua portata seminale, Guerre stellari è un classico o meno? Se devo tenere fede alle conclusioni a cui sono arrivato qui sopra, dovrei dire di no: ha resistito al tempo pur non essendo perfetto, ma non è più materia viva. Ma il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce e, per me, non esiste un film più classico di lui e che più di lui associo al concetto di “magia del cinema”. Forse perché l’ho visto in sala, a cinque anni, senza dubbio. E perché la saga mi ha accompagnato per tutta la vita (l’ho detto che non potevo essere pienamente obiettivo). O forse perché Lucas, pur con tutti i suoi limiti e furberie, ha saputo creare un’opera più grande della somma delle sue parti e capace di toccare, in maniera molto diretta, delle corde profonde.
E quando succede una cosa simile, il risultato è sempre un classico. E nessuno batte un classico.
MOTIVI PER DEFINIRLO UN CLASSICO
- La forza dell’universo immaginifico creato da Lucas
- La colonna sonora di John Williams
- Le spade laser.
© Shutterstock (1), Lucasfilm, Twentieth Century Fox (2)
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